Jesi-Fabriano

Antonio Mancini, da boss della “Banda della Magliana” all’impegno con i disabili a Jesi

«Cambiare si può, basta volerlo» ha detto in un incontro svoltosi ieri, 20 aprile, e organizzato dall'associazione culturale ImpAct al Circolo Cittadino. La sua "carriera" criminale e il ravvedimento. Intervento telefonico della giornalista - conduttrice Federica Sciarelli

Antonio "Nino" Mancini
Antonio "Nino" Mancini, ex componente della famigerata banda della Magliana vive a Jesi dopo il suo cambiamento

JESI – Se dici Antonio Mancini, 70 anni, dici Banda della Magliana, dici di storie maledette a cavallo tra gli anni che vanno dal 1970 al 1990, a Roma. Altro che vita spericolata. Di più.

Marialuisa Quaglieri
L’intervento, in apertura, dell’assessora Marialuisa Quaglieri

Dici di delinquenza che dalla borgata con le sue brutture si espande per divenire sodalizio malavitoso – progetto nato in carcere insieme a Nicolino Selis – che mette le proprie mani sulla città. Furti, rapine, estorsioni, droga, scontri a fuoco, omicidi, mafia, camorra, il caso Moro. Del quale proprio Mancini parlerà diffusamente in una delle prossime trasmissioni, a maggio, di Michele Santoro. Antonio Mancini vive a Jesi da tempo, più di 20 anni, da quando è diventato un altro uomo. Un uomo che dopo aver pagato i suoi conti con la giustizia si è ribellato a quello che era stato perché «cambiare si può – dice – basta volerlo davvero».

Lui, l’infame, come si definisce, che a un certo punto decide di collaborare con gli inquirenti senza nascondersi, a viso aperto, che taglia i ponti alle sue spalle, per il quale il passato diventa davvero “una terra straniera“. Non più boss, non più “Accattone“, il soprannome con il quale era conosciuto nell’ambiente perché amava letteratura e film di Pasolini, non più il “drizza torti“, la sua specialità.

Incontro con Antonio Mancini
Danilo Vitali, Elia Emma, presidente ImpAct, Antonio Mancini, Andrea Marasca

Si è raccontato, ancora una volta, nella sua “lingua” di borgata, alla Sala del Lampadario del Circolo Cittadino, in un incontro promosso, ieri 20 aprile, dall’associazione culturale ImpAct, organizzazione di giovani studenti di Jesi e della Vallesina.

«Nella borgata dove vivevo con la mia famiglia, San Basilio, le madri – ricorda – consigliavano ai figli in cerca di lavoro di non dire da dove provenissero. Vedevo sudare tutti i giorni mio padre, comunista, in attesa di “Baffone ” che, però, non arrivava mai. Io, d’altro canto, non volevo accontentarmi di mangiare minestra tutta la vita».

Il primo furto a 12 anni, una Lambretta, poi «è stato tutto un crescendo e quando ti fai il nome tutto diventa più semplice, sei un uomo di primo piano». Il carcere, minorile, per la prima volta a 14 anni e ci ritornerà ancora.

«La galera incancrenisce, ti insegna a trasformarti da ladruncolo  a criminale. Si vive e si muore come fuori da quelle mura». La sua è una storia che si intreccia anche con le vicissitudini di un’Italia inquieta, violenta, corrotta.

«Le ultime vicende di Roma Capitale? Non è cambiato nulla. Anzi, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi“», afferma citando “Il Gattopardo”.

Sala del Lampadario Circolo Cittadino
L’incontro alla Sala del Lampadario del Circolo Cittadino

La prima svolta dopo aver scontato la condanna a 11 anni di reclusione che «in realtà erano 28, e devo ringraziare per questo il mio avvocato di origini marchigiane».

Una volta fuori o venivi trascinato ancora nel vortice o «come è accaduto a me, ti accorgevi che non potevi più ritornare a quella vita. Ho sentito forte l’esigenza di cambiare, di non spingermi più oltre».

Il ravvedimento e il passo decisivo di divenire collaboratore  di giustizia. Dopo aver “pagato” i propri conti. Quindi l’arrivo a Jesi «e molte vie della mia borgata erano intitolate a città marchigiane», dove c’è stata la seconda svolta.

«Devo tutto a un ispettore di Polizia, Angelo Sebastianelli, al presidente dell’Anffas, Antonio Massacci, e al comune di Jesi, che mi hanno offerto la possibilità di reinserirmi nella società. Sentivo che dovevo darmi da fare per restituire “qualcosa”» e quel qualcosa è arrivato come un fulmine a ciel sereno quando in via Pastrengo, un giorno di circa 20 anni fa, si è imbattuto nello sguardo di un ragazzo che lo guardava fisso da dentro un pulmino e sorrideva.

Antonio Massacci e Antonio Mancini
Antonio Massacci e Antonio Mancini

All’ispettore che lo accompagnava chiese in modo alterato chi fosse quello lì e perché lo fissasse il quel modo. La spiegazione fu semplice: era un disabile intellettivo proveniente dal centro diurno di via Palestro.

«Chiesi allora di potermi dedicare a loro, a quei “dolenti”, e con l’aiuto di chi mi ha sostenuto in quei momenti ce l’ho fatta diventando assistente nel pulmino comunale che accompagnava i disabili».

Sala del Lampadario Circolo Cittadino
Incontro organizzato dall’associazione culturale ImpAct

A una prima diffidenza iniziale si è poi sostituito un rapporto unico – come ha sottolineato lo stesso Massacci – perché Antonio “Nino” Mancini «in quel mezzo di trasporto ha portato la gioia. I genitori che lo avevano contestato all’inizio sono diventati suoi amici e tutti volevano stare con lui».

E “Nino” una spiegazione la dà, in quanto «abbracciare un “dolente” riesce meglio a chi ha qualche ferita da guarire. Certo, i fantasmi che mi porto dietro non spariscono ma non opprimono. Cambiare si può, basta volerlo. Ripete».

Linda Elezi e Antonio Mancini
Con la consigliera comunale Linda Elezi

Anche Federica Sciarelli – conduttrice di “Chi l’ha visto?” – è intervenuta telefonicamente. Insieme a Mancini ha scritto il libro “Con il sangue agli occhi” e rivolgendosi ai giovani presenti in sala, la giornalista ha condensato il suo intervento in una battuta: «Ascoltate e fate l’opposto di quello che lui ha fatto nella sua vita».

Antonio Mancini avrebbe voluto studiare, confida, e quello che a lui non è riuscito è l’unica raccomandazione che fa, ancora ai giovani: «Non ho consigli da dare ma studiate, studiate, studiate. Perché così potrete riconoscere i farabutti da chi non lo è».

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