Cronaca

Servigliano, omicidio di Jennifer: definitiva la condanna della mamma a 25 anni

La piccola di sei anni era stata soffocata con un gattino di peluche premuto sul viso e annegata nella vasca da bagno. Per i giudici della Corte di Assise di Macerata non è stato possibile individuare con certezza un movente

Pavlina Mitkova, madre della bambina morta nel rogo di Servigliano, scortata dagli agenti
Pavlina Mitkova, madre della bambina morta nel rogo di Servigliano, arriva in tribunale scortata dagli agenti

SERVIGLIANO – Uccise la figlia Jennifer di 6 anni soffocandola con un gattino di peluche e annegandola nella vasca da bagno, poi appiccò un incendio a casa per occultare le prove del delitto: è diventata definitiva la pena a 25 anni per la madre, Pavlina Mitkova, 40enne di origine bulgara accusata di omicidio volontario aggravato e incendio.

Da sinistra gli avvocati Senesi e Sabbioni

Il delitto fu consumato a Servigliano nella notte tra il 7 e l’8 gennaio del 2020. Il 29 settembre del 2021 i giudici della Corte d’Assise di Macerata emisero la sentenza di primo grado che non è stata appellata né dai difensori dell’imputata né dalla Procura di Fermo ed è passata in giudicato. Martedì scorso l’esecuzione della sentenza è stata notificata anche ai difensori della donna, gli avvocati Emanuele Senesi e Gianmarco Sabbioni. La donna attualmente è in carcere a Bologna, dove è stata trasferita dalla casa circondariale di Pesaro. «Con le prove a carico della nostra assistita – ha spiegato l’avvocato Senesi –, appurato che è capace di intendere e volere, su questo aspetto si sono già espressi l’equipe di Barcellona Pozzo di Gotto, la dottoressa Bruzzone e il dottor Melchiorri, in assenza di una credibile versione dei fatti data dall’imputata è impossibile ottenere un risultato migliore. Oltretutto nelle motivazioni non abbiamo ravvisato criticità, la sentenza ci è parsa equilibrata».

Il 29 settembre dello scorso anno, dunque, i giudici della Corte d’Assise di Macerata lessero il dispositivo per poi prendersi 90 giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza. Per i giudici (presidente ed estensore Roberto Evangelisti, a latere Federico Simonelli) gli accertamenti eseguiti sul corpicino della piccola hanno dato risultati inequivocabili, a partire dall’autopsia da cui era emerso che la piccola era già morta prima dell’incendio per soffocamento, la madre le avrebbe premuto con forza un gattino di peluche sulle vie aeree annegandola nella vasca da bagno. Le fibre cellulosiche trovate nei bronchi «erano state inalate da Jennifer – scrivono i giudici nelle motivazioni – con atto inspiratorio così profondo, intenso, violento e disperato, emblematicamente paragonato alla forza di trazione esercitata da un’aspirapolvere, da rimanere intrappolate negli alveoli bronchiali». Tra l’altro all’arrivo del medico del 118 la piccola era già rigida, quindi morta già da alcune ore, tanto che il medico si era limitato a ventilare la bambina con una maschera d’ossigeno per alcuni minuti senza neppure tentare di intubarla. La piccola aveva «la classica posizione del rigor mortis – aveva ricordato nella sua testimonianza in aula il medico –, insomma, in teoria mi sarei potuto già fermare lì, senza… però essendo una bambina, quei quattro, cinque minuti di manovre rianimatorie le abbiamo fatte. Abbiamo tentato 4-5 minuti di rianimazione».

In merito al movente del delitto i giudici spiegano che nel corso dell’istruttoria non è stato possibile «individuare con certezza un movente», ma «in presenza della prova dell’attribuibilità dell’azione all’imputato – si legge nelle motivazioni – l’accertamento del movente non è essenziale». Si possono però formulare ipotesi, per la Corte si può supporre che «la donna abbia reagito a un qualche capriccio di Jennifer in preda a uno stato passionale momentaneo».
Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, invece, la Corte ha riconosciuto alla Mitkova, incensurata, le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, «in ragione delle disagiate condizioni di vita della donna – scrivono i giudici -, priva di lavoro, in un contesto familiare di profonda emarginazione e totale isolamento sociale. Donna da sempre chiusa in casa con le due figlie che non frequentavano le scuole e trascorrevano tutto il loro tempo con la madre, senza parenti, senza rapporti con alcuno e prospettive, abituata ad aspettare senza obiezioni, fino a tarda notte, il compagno».

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