Economia

Settimana decisiva per la scalata di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca

Scade il 28 luglio l'Offerta Pubblica di Scambio a un concambio di 17 azioni Isp per ogni 10 azioni Ubi portate in adesione. La componente in contanti di 0,57 euro ad azione continua a fare breccia tra gli azionisti

Il centro direzionale di Fontedamo di Ubi Banca
Jesi, il centro direzionale di Fontedamo di Ubi Banca

Settimana decisiva per l‘Offerta Pubblica di Scambio (OPS) promossa da Intesa Sanpaolo sulle azioni di Ubi Banca, a un concambio di 17 azioni Intesa per ogni 10 azioni Ubi portate in adesione entro il 28 luglio 2020. Nel rush finale, a pochi giorni dal termine dell’Ops, l’istituto guidato da Carlo Messina ha messo sul piatto anche un corrispettivo in denaro pari a 0,57 euro per azione, una mossa dettata dal fatto che diversi soci di peso all’interno dei patti di Ubi Banca nelle scorse settimane avevano tenuto aperto la porta a un “sì” all’operazione, lasciando però capire di volere un ritocco all’offerta.
Ieri sera, 21 luglio, il Patto dei Mille, il patto dei soci bergamaschi di Ubi Banca che detiene l’1,6% circa del capitale della banca, ha ritirato il “no” che aveva inizialmente espresso nei confronti dell’offerta di Intesa, annunciando in una nota stampa che «i propri aderenti decideranno in autonomia l’adesione all’operazione, in coerenza con la normativa vigente dei patti di sindacato in presenza di OPA o OPS».

Alla data di ieri (dati di Borsa Italiana) sono state presentate 37.289.026 richieste di adesione all’offerta, portando complessivamente a 97.103.386 adesioni, pari all’8,488% dell’offerta. Secondo gli analisti l’OPS porterà probabilmente alle nozze – o meglio alla fusione – tra le due banche, nozze peraltro non volute dall’istituto di Bergamo, in una prospettiva di controllo maggioritario di Isp su Ubi, se non di fusione e di scomparsa del marchio bergamasco. Dall’unione nascerà «un vero campione su scala europea», il terzo per capitalizzazione e il settimo per ricavi, ha spiegato lo scorso febbraio Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo.

L’operazione anche nelle Marche avrà forti ripercussioni, con la probabile scomparsa del centro direzionale di Jesi, oggi sede di macro area territoriale Marche-Abruzzo, e la cessione di diverse filiali a un terzo soggetto bancario, la Bper: per far fonte alla normativa antitrust, l’operazione prevede infatti che Intesa Sanpaolo ceda a Bper a livello nazionale 532 sportelli Ubi Banca, pari a un terzo dell’attuale perimetro dell’istituto.

Ma Ubi non ci sta, e porta avanti la sua battaglia per non cedere autonomia e marchio. Ieri, in una nota stampa, il gruppo bergamasco ha fatto sapere che senza il 66,7% del capitale di Ubi che aderirà all’offerta pubblica di scambio, l’acquirente Intesa Sanpaolo non potrà legittimamente imporre ad Ubi la dismissione di oltre 500 filiali. «Con riferimento all’accordo Bper – si legge nel comunicato – il consiglio di amministrazione non ha ritenuto ravvisabile alcun interesse “di gruppo” in relazione alla cessione del ramo bancario, giacché l’operazione di dismissione è meramente funzionale all’attuazione di impegni assunti da Istituto Sanpaolo nel suo esclusivo interesse. Da un lato, Isp – in quanto capogruppo esercente l’attività di direzione e coordinamento – otterrebbe il vantaggio di poter rimuovere l’ostacolo all’acquisizione rappresentato dalla disciplina antitrust e di ottimizzare la distribuzione dei suoi prodotti finanziari e assicurativi mentre, dall’altro lato, Ubi Banca sarebbe privata di oltre 500 filiali, rappresentative di oltre il 30% della rete, vedendosi nei fatti declassata da autonomo centro di profitto a mero soggetto “collocatore” della capogruppo».

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