Cultura

Fotografia: intervista a Riccardo Gambelli, ultimo testimone del gruppo “Misa”

Per troppo tempo all'ombra del noto Mario Giacomelli, il fotografo senigalliese viene riscoperto negli ultimi anni, grazie anche all'entusiasmo dei figli e alle iniziative del Musinf

Fotografia di Riccardo Gambelli (1953), per gentile concessione dell'autore
Fotografia di Riccardo Gambelli (1953), per gentile concessione dell'autore

SENIGALLIA – Un po’ il suo carattere schivo, un po’ il fatto che Riccardo Gambelli abbia scattato fotografie solo per 8 anni hanno lasciato in ombra il senigalliese, classe 1931. Eppure non è solo l’amico di Mario Giacomelli, non è solo uno degli allievi di Giuseppe Cavalli, non è solo l’ultimo testimone marchigiano dell’associazione fotografica “Misa”: è un fotografo di valore di cui solo ultimamente si sta riscoprendo il talento.

Si perché, in realtà alcuni premi li aveva vinti già negli anni ‘50 quando iniziò a scattare e a formarsi a livello tecnico e artistico. Ma è solo negli ultimi anni, tra mostre e pubblicazioni, partecipazioni a laboratori e incontri, che Senigallia gli sta attribuendo il riconoscimento che Riccardo Gambelli merita. Anche se non altrettanto fanno i senigalliesi. Ma spesso si sa, nessuno è profeta in patria.

La sua attività fotografica comincia nei primi anni ‘50, quando a Senigallia si forma spontaneamente un gruppo di appassionati di fotografia che si raduna attorno alla figura di Giuseppe Cavalli (1904-1961), Ferruccio Ferroni (1920-2007) e Mario Giacomelli (1925-2000), proprio nella tipografia di quest’ultimo. Riccardo Gambelli, allora un fattorino poco più che ventenne, non ha mai frequentato circoli fotografici come “La Bussola” (1947-1957) a Milano o “La Gondola” a Venezia (dal 1948) ma è già un appassionato di fotografia: la voglia di mettersi in gioco lo porterà a scattare e ad approfondire diversi temi, dalle questioni tecniche a quelle più artistiche, nel nascente gruppo fotografico “Misa”.

Riccardo Gambelli
Riccardo Gambelli

Gambelli ha da un lato la fortuna di conoscere Cavalli, Ferroni e Giacomelli nel momento in cui iniziano le discussioni fotografiche e i primi provini; dall’altro ha delle incombenze, come il lavoro, che sottraggono tempo prezioso all’esercizio fotografico, e la questione economica: scattare significava investire parecchie risorse e per chi non era di condizione agiata non era sempre possibile. «Io allora prendevo come stipendio 4mila lire, ma un rullino ne costava 500 e c’erano 12 foto. Se a questi ci aggiungevi i costi degli altri materiali per la camera oscura, ti accorgi di come fosse impegnativo fare fotografie, ed ecco spiegato perché se ne occupavano principalmente persone benestanti o coloro che lo facevano di mestiere».

Ed ecco comparire quindi i primi paesaggi: non di mare, come ci si aspetterebbe da un fotografo di una città costiera, ma della terra e delle sue persone. Prima il lavoro in bicicletta, poi i percorsi in treno danno a Riccardo Gambelli l’opportunità di osservare ogni angolo della sua città da vicino e i paesaggi meno urbanizzati da lontano. Ai paesaggi seguono poi i ritratti (compreso quello di Giacomelli, mentre lui ne fa uno a Gambelli) delle persone che lavorano, che passeggiano in strada, le figure ambientate, le nature morte, lo still life e infine gli sguardi sul mare e sulla spiaggia.
In ogni parte della sua produzione fotografica, però, si possono notare alcune connotazioni stilistiche e compositive: dall’attenzione alla creazione della foto e alla sua composizione, alla ricerca attenta del momento esatto per scattare, all’equilibrio tra i vari soggetti rappresentati e l’immagine nel suo insieme, anche nella luce che attira il lettore in modo elegante, mai chiassoso, quasi a rispecchiare l’anima dell’autore.

Poi arriva la famiglia e la fotografia viene accantonata. «Quando ho dovuto rinunciare a scattare – ricorda Riccardo Gambelli – me ne sono distaccato completamente: non solo per questioni lavorative e familiari, ma anche perché ero appassionato e mi piaceva dedicarmici con attenzione. Allora imparavi a sfruttare al massimo ogni situazione, a studiare la scena nella testa, ancora prima di recarti sul posto e scattare solo quando ciò che vedevi era identico o molto simile all’idea che avevi in mente. Non ci si poteva permettere di sprecare scatti “preziosi”, come avviene invece oggi col digitale».

Gambelli e Giacomelli spesso fotografano in coppia, sotto i consigli e i giudizi di Cavalli ma pian piano il primo si allontana dalla pratica fotografica e dalla ricerca artistica. Nel frattempo il lavoro di Giacomelli e dell’associazione fotografica Misa va avanti, anche dopo la morte di Cavalli: i giovani a cui il gruppo era stato aperto prendono un po’ le redini e Giacomelli prende la sua strada che lo porterà poi al meritato successo.

Riccardo Gambelli
Riccardo Gambelli

Di contro Riccardo Gambelli rimane sempre in disparte nelle manifestazioni della Senigallia artistica, che si appresta a divenire “Città della Fotografia”: negli ultimi anni sono i figli a spingere prima per il giusto riconoscimento della sua seppur breve attività fotografica, poi è il museo comunale d’arte moderna, della fotografia e dell’informazione (Musinf) ad attribuirgli valore e spessore culturale, anche oltre il confine cittadino e regionale, con varie iniziative. Tra nature morte e still life, oltre le geometrie dei primi paesaggi o i contrasti degli ambienti urbani.