Benessere

Uscire dalla comfort zone: è davvero sempre un bene?

Viene dipinta come una condizione limitante da superare per ottenere felicità e successo, ma la comfort zone è una base sicura di cui non possiamo fare a meno

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(Foto di WebLab24_Siti_Web da Pixabay)

“Esci dalla tua comfort zone!”, “La vita comincia fuori dalla comfort zone”, “Ottieni il successo abbandonando la tua zona di comfort”: da qualche anno, sul web è un pullulare di slogan simili, di imperativi a lasciare la propria “area di sicurezza” – descritta ormai come il male assoluto e il limite da superare per essere felici e realizzati – e di manuali, corsi e seminari con consigli pratici per riuscirci. Il tema della comfort zone è un cavallo di battaglia di tutto il settore che attiene ai life coach, mental coach e guru vari, ovvero figure che parlano di psicologia e danno indicazioni in merito, senza aver studiato psicologia; è molto più raro che uno psicologo si spinga a parlare di comfort zone negli stessi termini riduttivi ed evidenziandone esclusivamente gli aspetti positivi, ovvero distorcendone il significato e diffondendo messaggi dannosi.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Come è accaduto col concetto di “pensiero positivo”, che è stato ipersemplificato fino a diventare un (inattuabile) imperativo ad eludere e reprimere emozioni e pensieri sgradevoli, che in realtà sono necessari all’economia psichica, così anche il concetto di comfort zone viene  estremizzato e si traduce in messaggi di questo tipo: se esci dalla tua zona di comfort sei attivo, dinamico, propositivo, ambizioso, realizzato, di successo; se resti nella tua zona di comfort sei limitato, passivo, pigro, debole, ti accontenti.  Il termine  è associato unicamente a qualcosa di negativo. Questo si accompagna al pensiero di sottofondo che sia “ok” desiderare sempre di più, crescere sempre, fare sempre di meglio e di più, e che “volere è potere”.

Questa lettura ha finito per creare un problema anche laddove non c’era: «Io sto tanto bene, ma…non so, forse mi sto accontentando? Forse dovrei mettermi più alla prova? Forse dovrei avere obiettivi più ambiziosi?», si chiedono a volte i miei pazienti, spinti a dubitare delle proprie percezioni da pressioni che sentono provenire dall’esterno. Magari sono persone che hanno faticato tanto per costruire finalmente la loro comfort zone, che è stata sudata a caro prezzo, che hanno finalmente trovato le condizioni di vita (che siano professionali o  relazionali o quant’altro) in cui si sentono bene, e invece di godersi finalmente il comfort, vengono spinte da altri a mettersi di nuovo – inutilmente – in discussione.

La dicitura “comfort zone” è stata usata per la prima volta da Alasdair White in relazione alla professione dei manager, per indicare lo stato in cui la persona opera in una condizione neutrale priva di ansia e incertezza e fornisce un livello costante di prestazione. Ne consegue che per migliorare  la prestazione e i risultati, occorre uscire da questa zona. In termini di produttività aziendale, la necessità di uscire dalla comfort zone potrebbe essere pure condivisibile. Le cose sono un po’ diverse se ampliamo lo sguardo e applichiamo il concetto di comfort zone alla vita di un individuo.

Avere una comfort zone significa avere una condizione in cui ci si sente sicuri, a proprio agio, non minacciati, non vulnerabili, senza stress; avere uno stato emotivo in cui non percepiamo ansia o incertezza e viviamo serenamente la routine senza porci particolari mete da raggiungere, dove sentiamo di “poter avere accesso a sufficienti quantità di amore, cibo, talento, tempo, ammirazione” (B.Brown). La zona di comfort è quindi il luogo in cui i nostri bisogni sono appagati. L’ampiezza e i contenuti della zona di comfort sono estremamente soggettivi: se per una persona è “confortevole” passare il weekend dormendo sul divano, per altri lo è  lanciarsi col paracadute. Ci sono persone che hanno bisogno di stimoli esterni e di continue sfide, altre che sono infastidite da un eccesso di stimolazione: questo è solo uno dei vari fattori che contribuiscono a determinare quale sarà la comfort zone degli uni e degli altri.

Uscire dalla comfort zone equivale a introdurre novità che richiedono uno sforzo emotivo, spingersi verso cambiamenti che potrebbero essere eccessivi in un dato momento, o inutili, o che non corrispondono al proprio reale sentire; può tradursi in una continua frenesia di sfide nuove e nella paura di non ottenere i risultati sperati, alimentando l’angoscia della prestazione. Esagerando l’importanza della novità e della sperimentazione, si dimenticano i bisogni di sicurezza, che sono alla base dei bisogni umani e se non sono sufficientemente appagati, non permettono di procedere ad altro. Superare i propri limiti, inoltre, è sempre utile? Ha un senso? E lo facciamo per noi o perché la società ce lo impone?

Se consideriamo la zona di comfort come la zona in cui non si sperimenta ansia, restarci e non avventurarsi oltre potrebbe costituire effettivamente un problema nel caso, ad esempio, dei disturbi d’ansia, in cui la paura di affrontare una certa situazione porta ad evitarla, proprio per non sperimentare questo sgradevole stato emotivo, ma l’evitare di affrontarla non fa che mantenere il disturbo e limitare gravemente la vita della persona. In questo caso, l’incoraggiamento a uscire dalla “zona di comfort” può avere un senso, ed è infatti ciò che si fa nella psicoterapia, in cui aiutiamo la persona, con gradualità e con una preparazione preliminare, ad esporsi a quelle situazioni che procurano ansia.  Allo stesso modo, ogni persona che chieda un aiuto psicoterapeutico, è aiutata ad affrontare di solito un cambiamento che teme o che fa fatica ad attuare da sola. Definire tutto ciò “uscire dalla zona di comfort” non mi pare tuttavia appropriato e rischia di essere fuorviante, perché se la persona chiede aiuto, è perché sperimenta un disagio e non è in una condizione di comfort. Inoltre più che di abbandonare la zona sicura, si tratta piuttosto di allargarne passo passo i margini, senza bruschi salti.

Anche quando non si debba superare un disagio, abbandonare la zona di comfort per inseguire mete più ambiziose o una maggiore realizzazione personale che ci fanno stare meglio, significa lasciare una zona di comfort… per una ancora migliore, quindi viene a cadere il significato negativo che si vuole attribuire a questa condizione!

Uscire a volte dalla zona di sicurezza, o meglio ampliarne gradualmente i margini, coltivarla per espanderla e uscirne quando serve e senza fretta,  è utile perché può permetterci di essere più flessibili, di essere più capaci di affrontare cambiamenti in caso di imprevisti e  ci permette anche di sperimentare e capire cosa ci fa stare bene e cosa no. Sperimentando situazioni nuove, possiamo scoprire anche lati di noi che non conoscevamo, compresi talenti e passioni, oppure nostri limiti di cui tenere conto. Ma siamo noi a decidere se, come e quando. La nostra zona di comfort è la base sicura da cui possiamo decidere di avventurarci e progredire e dove possiamo tornare se abbiamo bisogno di un posto sicuro, oppure dove possiamo decidere di rimanere se ci sentiamo a nostro agio e completamente soddisfatti così.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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