Benessere

Mi piace la solitudine, è sbagliato?

Le persone solitarie sono commiserate come tristi e problematiche. Ma la solitudine può essere una scelta vissuta con soddisfazione e benessere

«Lo sapevo già, ma con il lockdown ne ho avuto la conferma lampante: io da sola sto benissimo. Lo devo ammettere, non mi è mancato stare in mezzo agli altri. Anzi, se devo dire la verità, avrei voluto che durasse ancora un po’. Ma è sbagliato, non è normale, non va bene così!». In questo ultimo periodo molte persone mi hanno riportato questa considerazione, emersa in tutta la sua chiarezza durante la permanenza forzata in casa e la conseguente drastica limitazione dei contatti sociali. Per alcune è solo un’ennesima conferma di una propria tendenza ad essere solitarie, per altre una scoperta inaspettata. Quasi sempre, è comunque vissuta in modo negativo, come una caratteristica deprecabile, malsana e indesiderabile, che vorrebbero modificare.

La nostra società non vede di buon occhio le persone che amano la solitudine e le commisera. Si tende a pensare che una persona sola sia senza dubbio triste, che abbia delle difficoltà a relazionarsi con gli altri, che sia quantomeno strana, o pigra, e che non stia da sola per scelta, ma perchè è rifiutata dagli altri. Chi ama passare buona parte del suo tempo in solitudine riceve molto spesso critiche dagli altri, che siano familiari, amici o semplici conoscenti, che si sentono in dovere di spronare il solitario ad essere più socievole, a frequentare ad esempio feste o altre occasioni sociali per divertirsi, piuttosto che dedicarsi da solo a quelle attività che gli altri immaginano noiose e deprimenti.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Diventa perciò inevitabile, per una persona che si senta bene in solitudine, cominciare a dubitare di sé stessa, temere di non essere normale, di avere qualcosa che non va. So che alcuni, alla domanda “Sono una persona solitaria, è normale?”, si sono sentiti rispondere da alcuni miei colleghi psicologi: «Il fatto stesso che lei si chieda se è normale, significa che non è completamente a suo agio. Se stesse bene in solitudine, neanche si porrebbe la domanda». Io non sono d’accordo, perchè la pressione sociale per cui socializzare è buono, sano e desiderabile, mentre stare da soli è il male da evitare, è davvero molto forte e insinuerebbe un tarlo anche nel solitario più in pace con se stesso.

Il termine “solitudine” suscita in molti una sensazione negativa e spaventa la maggior parte delle persone. Tuttavia, occorre distinguere tra solitudine nel senso di “sentirsi soli”, e solitudine nel senso di “stare da soli”. C’è una solitudine subìta, quando ci si sente rifiutati, non compresi, non visti, oppure quando si vorrebbe stare con gli altri ma questo suscita paura, disagio, vergogna, senso di inadeguatezza, timore di essere di feriti, inducendo quindi a ripiegare su una solitudine vissuta con sofferenza e mal sopportata. In questi casi la solitudine può essere una fuga e una rinuncia a costruire legami significativi. Ma ci sono anche persone (e sono, a quanto pare, quasi un quarto della popolazione) che, pur non avendo nessuna difficoltà a relazionarsi con gli altri, pur avendo con piacere relazioni con partner e amici, amano anche passare del tempo in solitudine e ricercano intenzionalmente questa condizione perchè procura loro benessere.

Gli studi fatti sugli individui solitari hanno evidenziato alcune loro caratteristiche. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, sono considerati buoni amici, leali e affidabili. Tendono infatti ad avere pochi amici e ad essere più selettivi nel decidere con chi relazionarsi, ma proprio il fatto di scegliere solo i legami davvero significativi, rende la loro amicizia più profonda. Potendo anche farne a meno e non avendo bisogno di stare per forza con altri per non colmare un vuoto, se scelgono degli amici lo fanno in modo davvero convinto.

Sono di solito sensibili, il fatto di essere avvezzi a stare coi propri pensieri ed emozioni senza doverli rifuggire, li rende anche capaci di comprendere meglio il mondo interiore degli altri. Si pensa comunemente che chi è solo soffra di una bassa autostima. In realtà, i solitari per scelta e non per ripiego hanno invece una buona considerazione di sé, consapevolezza delle proprie capacità e dei limiti, sono creativi ed essendo abituati a gestire eventuali difficoltà da soli, sono più capaci di adattarsi di fronte agli stress. Non si annoiano stando da soli, come molti credono, ma si dedicano ad attività, che non è detto siano solo sedentarie, come è nell’immaginario comune, anzi, molti amano fare sport e stare all’aria aperta.

Le persone solitarie non sono né peggiori, né migliori di altre, hanno semplicemente un modo diverso di vivere. Hanno un minore bisogno di affiliarsi ad altri, preferiscono dedicare energie ad altre attività e interessi in cui si ricaricano o rilassano. Se una persona è genuinamente felice nello stare da sola, non ha senso sforzarsi di essere diversa; piuttosto, non accettare questa propria caratteristica può diventare il vero problema. In psicologia sociale sappiamo da numerosi studi che il supporto sociale è un fattore protettivo dallo stress, che chi ha una rete sociale va incontro a meno malattie e anche a una minore mortalità. D’altra parte, non è tanto il supporto sociale effettivamente realizzato che conta, quanto la percezione di poter eventualmente contare sulla disponibilità di un supporto sociale: sapere, insomma, che nel caso volessimo chiedere aiuto a qualcuno, avremmo qualcuno da cui poterlo ricevere, cosa che non esclude l’essere persone che amano, in parte o prevalentemente, passare il tempo da sole. Se è ben gestita e se è scelta in libertà, quindi, la solitudine non è una condizione anormale ma può anzi migliorare salute e benessere.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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