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“Ce l’ho sulla punta della lingua”, perché la memoria fa cilecca

Il fenomeno "ce l'ho sulla punta della lingua" è una temporanea incapacità di ricollegare un'immagine mentale con il suo nome. Le cause del black out e le strategie per aggirarlo

La psicoterapeuta Lucia Montesi

È capitato a tutti: non riuscire a ricordare quella parola e a pronunciarla ma avere la sensazione di esserci vicini, di riuscirci da un momento all’altro, ed esclamare con un certo disappunto: «Ce l’ho sulla punta della lingua!». Magari ricordiamo l’iniziale, o anche più di una lettera, o sappiamo che è una parola lunga o corta, sappiamo il significato, possiamo persino dire i suoi sinonimi,  eppure per un soffio ci sfugge. Più ci ostiniamo a ricordare, più ci sfugge, per poi magari ricomparire all’improvviso quando ormai non ci pensiamo più. Il fastidio del non riuscire a ricordare la parola è  frustrante ed è descritto come una sorta di tormento, come la sensazione che proviamo prima di starnutire, mentre nel momento in cui finalmente il vocabolo viene recuperato, proviamo un senso di sollievo.

È un fenomeno comune che accade in tutte le lingue (persino nella lingua dei segni), in tutto il mondo e a tutte le età e riguarda soprattutto le parole poco utilizzate, quelle astratte e i nomi propri. È una sorta di blackout in cui la memoria fa cilecca, una temporanea incapacità di ricollegare un’immagine mentale con il suo nome,  che dura in genere un minuto. Anche in neuropsicologia viene definito “fenomeno di tipo ‘ce l’ho sulla punta della lingua’” ed è stato oggetto di studi per capirne l’origine.

La facilità con cui il fenomeno si presenta dipende dal modo in cui la nostra memoria funziona, in particolare dal fatto che spezzetta l’informazione e la immagazzina in compartimenti diversi, ad esempio dividendo il significato di una parola dal suo suono.

Un’ipotesi per l’effetto “sulla punta della lingua” chiama in causa la differenza tra la memoria semantica, che contiene i significati delle parole, e la memoria lessicale, che è un glossario delle parole con la loro ortografia e pronuncia fonetica. Poiché la prima è più veloce da recuperare, ne risulta che possiamo accedere al concetto  prima di poter avere a disposizione il termine per designarlo, ovvero la sua rappresentazione lessicale completa: sappiamo perciò cosa vogliamo dire, ma non riusciamo a verbalizzarlo. Si pensa anche a un deficit di trasmissione tra le due memorie: infatti, sentire una parola simile a quella che cerchiamo di ricordare ne facilita il recupero.

Un’altra possibile spiegazione è un errore nel momento in cui il ricordo è stato codificato, registrato e archiviato per la prima volta, a causa di condizioni sfavorevoli come  stanchezza, distrazione, sonno, disagio emotivo. Questo comporterebbe poi difficoltà nel rievocare la parola immagazzinata, perché ogni volta l’accesso a quella parola compie un percorso alterato e distorto.

Un’ulteriore ipotesi è legata all’interferenza da parte di informazioni simili. Infatti, il fenomeno diventa più frequente (in media una volta al giorno) con l’invecchiamento perché nell’anziano aumenta l’azione di disturbo di altre parole simili, per una difficoltà a inibire i dati non rilevanti e per un diverso funzionamento dei processi di selezione delle informazioni. Non è di per sé indice di demenza, in cui peraltro la difficoltà di recupero riguarda anche le parole di uso comune e quotidiano.

Sforzarsi affannosamente di recuperare la parola pensandoci insistentemente è controproducente perché fa sì che il cervello consolidi quel percorso sbagliato.  Più utile fare associazioni con il vocabolo, con tutto ciò che quella parola fa venire in mente, finché comparirà un indizio utile; procedimento da fare con calma, perché l’urgenza rende inefficiente il processo di recupero.  Non è vantaggioso che siano altri a suggerire la parola giusta, perché in questo modo  il cervello non porta mai a termine il percorso giusto di ricerca della parola.

Un espediente utile è passare in rassegna tutte le lettere dell’alfabeto: una volta arrivati alla lettera che corrisponde all’iniziale della parola da ricordare, potrebbe scattare l’illuminazione e la parola potrebbe finalmente riemergere dalla nebbia. Ripetere ad alta voce la parola, una volta recuperata, aiuta a prevenire ulteriori future dimenticanze, così come associarla a delle immagini significative  ed evocative.

Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Tel. 339.5428950

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