Benessere

“Non so cosa provo”, l’alessitimia

L'alessitimia è l'incapacità di riconoscere ed esprimere le emozioni proprie e altrui. Tipica delle persone che somatizzano, è alla base di gran parte dei disturbi psichici

La psicoterapeuta Lucia Montesi

L’alessitimia, detta anche “analfabetismo emotivo”, consiste nell’incapacità di riconoscere e descrivere le emozioni, proprie e altrui. La persona alessitimica ha difficoltà di introspezione, fa molta fatica a individuare cosa prova; l’emozione è vissuta solo come percezione fisica e non viene mentalizzata e tradotta sotto forma di immagini mentali e  parole. In alcuni le esperienze emotive sono ridotte o assenti, in altri le emozioni sono presenti e integre, ma viene meno la capacità di interpretarle, valutarle e comunicarle agli altri. Il modo di esprimersi può apparire freddo e distaccato, e anche quando il soggetto parla delle sue esperienze, non si percepisce un coinvolgimento emotivo, come se stesse parlando della vita di qualcun altro. Anche le espressioni del viso possono essere ridotte e rigide.

La persona alessitimica ha grandi difficoltà a capire cosa la spinge a provare ed esprimere le emozioni, potrebbe ad esempio scoppiare a piangere o ridere senza sapere perché e senza riuscire a spiegare l’esperienza emotiva sottostante. Sa descrivere molto bene le modificazioni del corpo percepite in certe situazioni, ma non è in grado di collegarle all’emozione corrispondente, anche quando a un osservatore esterno è evidente che stia provando, ad esempio, rabbia o tristezza. Invece l’alessitimico non è consapevole che quelle modificazioni che sente nel corpo si chiamano, appunto, rabbia o tristezza, resta confuso riguardo a cosa prova e fa fatica a distinguere tra le diverse emozioni. Di fronte all’attivazione fisica che accompagna l’emozione, tende ad interpretarla come un sintomo di una malattia fisica e a sviluppare preoccupazioni ipocondriache. Confonde infatti  l’emozione con la sensazione corporea percepita.

Il pensiero è orientato più verso l’esterno che verso i processi psichici interni, più verso la concretezza che verso la sfera immaginativa e fantastica.  L’alessitimico non parla del proprio mondo interiore, ha difficoltà a usare il linguaggio come strumento per esprimere i sentimenti ed è più orientato ad agire le emozioni attraverso il comportamento; ha una scarsa fantasia e sogna poco. A sua volta è poco empatico, perché non può sintonizzarsi con le emozioni di un altro se non è consapevole delle proprie.

L’alessitimia, più che un disturbo patologico, è considerata una caratteristica della personalità che può essere presente in diversa misura. Si tratta comunque di una alterazione della regolazione affettiva. Tipicamente, è stata riscontrata nelle persone che soffrono di sintomi psicosomatici, in cui la sofferenza, troppo dolorosa per essere vissuta consapevolmente, si scarica attraverso il corpo (anche se non tutti i pazienti psicosomatici, è bene ricordarlo,  presentano alessitimia).

Può essere un aspetto di quadri patologici come sindrome di Asperger, personalità narcisista e antisociale, disturbo da stress post- traumatico, abuso di sostanze, disturbi alimentari, disturbi sessuali, depressione. In realtà, è considerata un fattore predisponente per quasi  tutti i disturbi mentali.

Le cause possibili sono molteplici: fattori socio-culturali (riguarda maggiormente gli uomini, educati a controllare e reprimere le emozioni), deficit neurobiologici (deficit cognitivo dell’elaborazione delle emozioni), disfunzioni dell’emisfero destro, eventi traumatici, prime esperienze relazionali disfunzionali. L’origine può risalire a una relazione affettiva inadeguata nell’infanzia, che non ha permesso al bambino di imparare a modulare il suo stato emotivo. Il bambino piccolo, infatti, sperimenta stati indefferenziati di disagio o di benessere a cui inizialmente non sa dare un nome. È l’adulto che accudisce il bambino che regola i suoi stati emotivi, li assorbe, li contiene e trasforma in emozioni e  pensieri, finchè, gradualmente, questa capacità viene assunta dal bambino stesso. Una carenza nell’accudimento e nella sintonizzazione dell’adulto con i bisogni del bambino lascia l’emozione a un livello primitivo: non è trasformata in qualcosa che si può pensare ma rimane a livello di sensazione. Se la figura che accudisce è poco responsiva e poco disponibile affettivamente, la capacità di regolare le emozioni non si sviluppa; l’alessitimia sarebbe pertanto un meccanismo di difesa per arginare le emozioni altrimenti ingestibili.

L’alessitimico, apparentemente,  è ben adattato socialmente. In realtà, sono frequenti le difficoltà relazionali, le incomprensioni e i contrasti. Molti partner di persone alessitimiche si sentono frustrati dalla loro freddezza e incapacità di esprimere i sentimenti;  la comunicazione poco efficace, la mancanza di condivisione, l’incapacità di cogliere i segnali emotivi dell’altro, l’apparente disinteresse portano facilmente a conflitti.

La psicoterapia mira ad aiutare la persona alessitimica a riconoscere, esprimere e gestire le emozioni, anche se il percorso è difficile perché non è consapevole degli effetti sugli altri del suo modo di essere, che ritiene normale.

 

Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Tel. 339.5428950

© riproduzione riservata