Benessere

Perché i dolci ci piacciono tanto? Risponde la psicologa

Motivi biologici e psicologici fanno dei cibi dolci un mezzo con cui otteniamo facilmente appagamento e conforto. Ce lo spiega la psicoterapeuta Lucia Montesi

cupcakes, dolci
Foto di Free-Photos da Pixabay

Questo è il periodo più a rischio: passate le feste, restano avanzi – o intere confezioni ancora da aprire – di pandori, panettoni e torroni, un ben di Dio che non vorremo sicuramente buttare o far scadere… E allora ecco tutte quelle ricette micidiali per l’indice glicemico, che in genere prevedono di aggiungere al già ipercalorico materiale base, altre leccornie come mascarpone, panna, cioccolato e altre bontà. Sono pochi quelli che resistono al potere seduttivo dei dolci, e alcuni ne sono così attratti da diventarne purtroppo dipendenti. Ma perché siamo così facili prede dei peccati di gola zuccherini?

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Il sapore dolce è il primo con cui veniamo in contatto dopo la nascita, attraverso il latte del seno materno o del biberon. È anche il sapore preferito dai neonati, di pari passi con il rifiuto e l’avversione per l’amaro, una predilezione che ha la funzione di preservare la sopravvivenza tenendoci lontani da alimenti non commestibili o velenosi; predilezione  che per molti permane anche nell’età adulta e che ci fa cadere facilmente in tentazione davanti alla vetrina delle pasticcerie. Il momento dell’allattamento, oltre che esperienza di appagamento fisico, è anche un intenso momento di scambio relazionale, di accoglienza e accudimento. Associamo quindi il sapore zuccherino del latte, sin dall’inizio, a una sensazione di benessere, di appagamento, di pienezza, di vitalità. Accade perciò che, anche da adulti, quando vogliamo concederci un momento di piacere o, soprattutto, quando ci troviamo in uno stato d’animo negativo, ricerchiamo quelle sensazioni di benessere collegate al sapore dolce.

I dolci sembrano avere il potere di consolarci, almeno nell’immediato. Uno studio del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Los Angeles ha rilevato che le ragazze che sceglievano un alimento dolce a scopo consolatorio in reazione a occasioni stressanti e tensioni quotidiane, avevano una maggiore capacità di affrontarle e superarle  (a meno che non fossero in uno stato depressivo conclamato). Quindi una piccola “coccola” dolce avrebbe oggettivamente l’effetto positivo di risollevare l’umore. Tuttavia, è una strategia a elevato rischio di scivolare in un’abitudine costante, deleteria per gli effetti sul peso e per il pericolo di  trasformarsi in  compulsione e dipendenza.

La ricerca di cibo dolce sarebbe correlata anche a variabili di personalità. Secondo alcuni studi (Y.Kikuki e S.Watanabe; K. Elfagh e C. Erlanson-Albertsson) la ricerca di zucchero è correlata a una scarsa capacità di farsi valere, al pessimismo e alla sensazione di non avere controllo sugli eventi. D’altro canto, uno studio (B. Meier et al.) sostiene che chi è goloso di dolci è anche amabile e desideroso di aiutare gli altri.

Da un punto di vista biologico, l’effetto consolatorio dei dolci dipende dai carboidrati, che agiscono su serotonina, dopamina ed endorfine, sostanze in grado di influenzare positivamente lo stato emotivo. Quando proviamo una soddisfazione, a livello cerebrale si libera dopamina, sostanza che corrisponde al senso di essere ricompensati; se siamo carenti di dopamina, il cervello potrebbe indurci a cercare zucchero per ripristinare un adeguato livello di questo neurotrasmettitore. Inoltre lo zucchero produce insulina, che a sua volta regola la serotonina, sostanza responsabile del senso di felicità.

Mangiare golosità rappresenta, a livello simbolico, il tentativo di riempirsi e nutrirsi di cose belle e piacevoli. Perciò può accadere che, nelle varie epoche della vita, una scarsa espressione della nostra personalità e un lacunoso senso di realizzazione personale si esprimano anche attraverso una smodata golosità, che compensa quella mancanza. La golosità permette un piacere immediato e facilmente a portata di mano, ma a cui possiamo  imparare a rinunciare andando a cercare nel nostro presente quelle attività o situazioni che ci fanno sentire appagati e vivi su altri piani, che siano quello creativo, professionale o sentimentale.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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