Benessere

«Io pensavo che succedesse a tutti»: il bambino abusato dai genitori

Quando l'abuso sessuale è compiuto dai genitori, il trauma nel bambino è devastante perchè investe la relazione stessa e confonde la mente del piccolo, mescolando la sofferenza, la paura e la rabbia con l'amore e il conforto

«Avevo tre anni. Mio padre mi violentava tutti i giorni, tre volte al giorno. È durata dieci anni.».
Lo sputa fuori tutto d’un fiato a occhi chiusi, come a dire ‘ora o mai più’, poi si abbandona sulla sedia come dopo uno sforzo sovrumano. La volta successiva, infatti, mi dirà «Ci crede che l’altra volta quando sono uscita da qui mi sentivo come se avessi tolto all’improvviso tre tonnellate dalla pancia?».

Carla è una signora paffuta dall’aria gioviale, sempre sorridente, simpatica, anche buffa. Nessuno direbbe mai quale orrore si porti appresso da cinquant’anni. Ma gli abusi subìti lasciano segni profondi. A lei hanno tolto la possibilità di vivere un amore condannandola alla solitudine, e soprattutto hanno tolto la possibilità di fidarsi di sé, prima ancora che degli altri, dubitando costantemente della legittimità delle sue percezioni e rinunciando a difendere le sue idee e i suoi diritti.

Carla sopporta fino all’inverosimile, poi scoppia per l’esasperazione e allora agli occhi degli altri la pazza è lei: «Che diavolo ti prende ora?». Anche quando finalmente si ribella, finisce per non essere ascoltata, perché lo fa in un modo disfunzionale.

«Io pensavo che succedesse anche agli altri bambini, che fosse normale. Ma a me non piaceva. Però vedevo gli altri bambini felici e mi chiedevo ‘Perché io non riesco ad esserlo? Sono io che sono sbagliata, che sono cattiva’».
Una delle conseguenze più odiose degli abusi sessuali è la confusione del bambino, che da una parte sente, intuisce che sta vivendo qualcosa di sbagliato e sporco, ma dall’altra viene disconfermato dall’abusante o da altri adulti che per vari motivi non gli credono o proteggono l’abusante. Più un bambino è piccolo, più ha un bisogno vitale di sentire che i suoi primi, deboli tentativi di dare un senso alla realtà, di capirla e interpretarla, ricevono il sostegno e la conferma degli adulti: questo lo fa sentire sicuro delle proprie percezioni, fiducioso nelle sue capacità. Il bambino abusato, pur avendo una percezione corretta e sana, è costretto a rinunciarvi e a ricacciarla indietro, perché se gli adulti, da cui dipende e che tutto sanno, si comportano così, allora deve essere giusto così: «Sono io che non vado bene, sono io che devo farmelo piacere».

«Io pensavo solo a finire presto e scappare via prima possibile», ricorda Carla, «quando però la sera a volte lui tornava a casa tardi, io entravo in ansia per paura che gli fosse successo qualcosa. Perché comunque lui mi voleva bene, era affettuoso con me, più di mamma». L’aspetto più grave dell’incesto è che il trauma è nella relazione stessa, ed è tanto più profondo tanto più l’abuso è mescolato con l’amore e l’accudimento. È più facile odiare uno che ti violenta magari anche ferocemente quando è un estraneo, puoi liberartene più facilmente. Ma se chi ti violenta è tuo padre o tua madre, nello stesso canale passano il dolore e la paura ma anche l’affetto, la tenerezza, la protezione – in quella misura in cui i genitori ne sono capaci -, in un intreccio perverso. Hai bisogno di salvarli perché hai bisogno di loro e quella è l’unica forma di amore che conosci. Perciò è probabile che rivolgerai la tua rabbia contro te stesso e ti convincerai di essere tu quello sbagliato.

Carla per tanti anni aveva dimenticato, poi un giorno all’improvviso tutto è ritornato a galla in ogni dettaglio, e d’un colpo ha capito perché non riusciva mai a stare accanto a un uomo, perché già solo uno sguardo la faceva scappare.

Oggi ha deciso di provare a togliersi di dosso quelle tre tonnellate. Fino ad oggi ha subito tutte le situazioni in cui sentiva calpestare i suoi diritti; non osava protestare, «Devo sopportare; io non posso pretendere; io non conto niente; magari ho capito male», si diceva. Ora comincia a guardare alle sue cicatrici con occhi diversi, non più come parti deturpate e vergognose di sé ma come ‘medaglie al valore’ per essere sopravvissuta psicologicamente a un inferno simile, da cui ripartire con fierezza e con la forza derivante da un’intima convinzione, dal poter finalmente dire sul serio a sé stessa le tre parole più importanti: «Avevo ragione io». (Dott.ssa Lucia Montesi, Psicologa Psicoterapeuta Piane di Camerata Picena (AN). Tel. 339.5428950)

© riproduzione riservata

Ti potrebbero interessare