«La malattia di mio marito è peggiorata. Il medico dice che devo prepararmi, che non gli resta molto da vivere». La signora si è appena seduta nel mio studio in ospedale. Mi preparo ad accogliere il dolore, la rabbia, la paura che purtroppo ho ascoltato da altre persone prima di lei.
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«Cosa la preoccupa di più?», chiedo, come faccio sempre, immaginando le solite risposte: perdere il compagno di una vita, crescere i figli da sola, problemi economici, la sofferenza del marito, la solitudine. Invece la risposta mi coglie di sorpresa: «Restare sola con mio suocero in casa. No, la sola idea mi atterrisce», sbotta con un gran sospiro come se si liberasse di un enorme peso. Il suocero, quindi; strano, penso. Sarà uno spostamento dell’ansia, un meccanismo di difesa. Ma poi, restando in ascolto di questa donna, viene fuori un lungo sfogo su una vita di sacrifici e di rabbia ingoiata. Una vita di coppia segnata fin dall’inizio dalla convivenza con il padre disabile di lui, persona egoista e prepotente. «Non posso pensare al futuro con lui. Mi ha sempre trattato male, come una serva. Io lo odio e so che è sbagliato». «E per suo marito cosa prova?», domando. «Rabbia! Perché non ha mai preso le mie difese. E adesso lui muore e me lo lascia sulle spalle. Ma non potrei mai mandarlo in una casa di riposo, sentirei di tradire la volontà di mio marito. Sono disperata.».
Altre volte, ascolto donne malate che durante i lunghi ricoveri maturano per la prima volta una consapevolezza lucida della propria condizione e un impulso a ribellarsi: «Ah no, quando tornerò a casa le cose cambieranno. Non subirò più le cattiverie di mia suocera, mi farò rispettare. Non so come ho fatto a sopportare per tutto questo tempo. Si rende conto? Io ho la leucemia e lei non chiede neanche come sto. Ora basta.».
Tutte storie di convivenze molto travagliate con suocere e suoceri vissuti come egoisti e rifiutanti e di mariti defilati, che non hanno mai preso chiaramente posizione. «Mi dice di portare pazienza, che sua madre è fatta così. Lo capisco, si trova tra due fuochi…ma esisto anche io. E mi basterebbe così poco, che per una volta stesse dalla mia parte».
Mi chiedo ogni volta cosa abbia portato queste donne ad accettare per una vita, a volte già dalla luna di miele, la presenza in casa e dentro la coppia di suoceri ingombranti, pesanti, anaffettivi, a volte anche violenti, fino a che qualcosa di dirompente, come una malattia grave, all’improvviso sembra scuoterle e dar loro la forza di cambiare. Spesso hanno sperato di trovare nei suoceri dei genitori da cui farsi adottare, perché hanno perduto i propri, o perché vengono da famiglie in cui si sono sentite poco amate e hanno coltivato la speranza di ricevere amore dai genitori del partner. Oppure hanno imparato che per farsi amare devono aiutare, accudire, sacrificarsi per gli altri. O ancora, sono scappate da famiglie in cui hanno vissuto prepotenza, violenza, trascuratezza, anaffettività, e finiscono per ricadere proprio dentro un’altra famiglia simile ricreando le stesse dinamiche con i suoceri, come purtroppo spesso accade, quando l’inconscio spinge a scegliere situazioni simili a quelle che ci hanno fatto soffrire per tentare, illusoriamente, di padroneggiarle e ripararle.
Il lavoro psicologico con queste donne permette intanto di dare uno spazio a sentimenti inconfessabili e di accogliere e lenire i sensi di colpa. La parte più difficile è renderle consapevoli di quanto esse stesse siano legate a questi suoceri di cui si sentono vittime e quanto in prima persona contribuiscano a mantenere un legame disfunzionale fonte di sofferenza per tutti. Per quanto razionalmente protestino e minaccino di volersene liberare, emotivamente li ricercano a faticano a distaccarsene, per quelle motivazioni profonde che le hanno spinte lì. Continuano a sperare di avere da loro un riconoscimento, un segnale anche minimo di apprezzamento, un «grazie», senza poter accettare che essi probabilmente non ne sono e non ne saranno mai capaci. Esattamente come tra figli e genitori. Solo uscendo da queste aspettative e recriminazioni sarà possibile impostare un rapporto diverso, da adulti ad adulti, in cui nessuno si sacrifica per l’altro ma si esige e si dà rispetto reciproco. (Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta – Piane di Camerata Picena (AN) – Tel. 339.5428950)