Benessere

La paura di morire, come affrontarla e farne un’opportunità

È una condizione esistenziale che accomuna tutti gli esseri umani in qualche misura che però può diventare un vero disturbo psicologico. Ma è anche un utile campanello d’allarme che ci segnala che non stiamo vivendo in modo autentico

Immagine di repertorio

«La sera, prima di dormire, mi assale la paura della morte e l’ansia cresce, mi sembra di impazzire», «Ogni volta che non mi sento bene o sento qualche dolore, scatta la paura di morire e corro da un medico all’altro», «Ci penso continuamente e qualunque cosa faccia,  perde di significato perché tanto dobbiamo morire!», «Anche vedere un fiore appassito mi fa pensare che un giorno dovrò morire e sono terrorizzata».

La paura di morire è una condizione esistenziale che accomuna tutti gli esseri umani in qualche misura, ma può diventare un vero disturbo psicologico che causa intensa sofferenza e compromette la qualità della vita, impedendo di vivere, impegnarsi, fare scelte, godere il presente.

 

La psicoterapeuta Lucia Montesi

Può trattarsi di un pensiero angosciante e consapevole sulla morte, oppure questa paura può nascondersi dietro altri sintomi. In realtà, molte delle paure che ci affliggono riconducono all’unica, maggiore paura, quella della morte. Il pensiero della morte può essere innescato dalla perdita di qualcuno, familiare o meno, e poi diventare un’ossessione di cui non si riesce a liberarsi. Nella definizione di disturbo, è compresa l’irrazionalità della paura, la sua eccessività rispetto al reale pericolo. Anche in chi si trova in una condizione di rischio, come una malattia che mette in pericolo la sopravvivenza, la paura della morte, che è considerata congrua e normale rispetto alla situazione, può essere sproporzionata rispetto all’oggettiva gravità, oppure essere così limitante da richiedere un trattamento specifico.

A determinare l’intensità e il carattere invalidante di questa paura possono concorrere fattori di personalità, eventi di vita, traumi, il contesto socio-culturale in cui si vive, la fase del ciclo vitale che si sta attraversando.

La paura della morte si manifesta con maggiore intensità nel periodo adolescenziale e nella mezza e tarda età. Gli adolescenti sono spaventati e allo stesso tempo attratti dalla morte, la avvicinano e al contempo la esorcizzazione attraverso il gusto per l’horror, il macabro, o i comportamenti rischiosi.

Il tema della morte in genere si attenua nella fase centrale della vita in cui si è concentrati sul lavoro o sul formare una famiglia (eccetto il momento della gravidanza, che può riacutizzare la paura di morire di parto) per poi riaffacciarsi verso i 40 anni, quando la maggior parte degli obiettivi sono stati raggiunti, e nell’età di mezzo, in cui i segni dell’invecchiamento e cambiamenti fisiologici come la menopausa possono portare prepotentemente in primo piano il pensiero della fine della vita.

La paura di morire è inoltre più frequente in chi soffre di ansia, ipocondria e depressione e può costituire uno dei sintomi di questi disturbi.

Il nostro contesto socio-culturale non favorisce un approccio sereno alla morte. La pluralità dei valori, la mancanza di punti di riferimento univoci, la centralità dell’individuo, l’affievolirsi del senso di appartenenza contribuiscono a rendere più temibile la prospettiva della morte. La paura della morte è anche più diffusa nelle parti del mondo in cui le condizioni di vita sono migliori e l’età media di sopravvivenza è più lunga. Vecchiaia e morte vengono rimosse, negate, si tenta di nascondere dal corpo i segni del tempo e dalla nostra vista e dalla vita quotidiana la morte delle persone care. Della morte non si deve parlare, se qualcuno la nomina riceve  immediatamente occhiate di riprovazione, gesti di scongiuro e l’invito a cambiare alla svelta argomento. Se della morte non si può parlare, se non la si può neanche pensare, restiamo sguarniti di strumenti per mentalizzarla e così la rendiamo ancora più angosciosa.

La paura di morire può essere un utile campanello d’allarme che ci segnala che non stiamo vivendo in modo autentico. Le persone che hanno più paura di morire sono quelle che vivono meno pienamente la loro esistenza, reprimono e non esprimono parti di sé. Anche se l’idea di dover morire ci atterrisce, questa consapevolezza può però diventare il motore di una vita più significativa e piena e la spinta ad attuare cambiamenti desiderati ma sempre rimandati.

Vedo costantemente, in Oncologia, persone che confrontandosi per la prima volta con il rischio di morire prendono consapevolezza di sé: come un faro, la paura di morire improvvisamente illumina bisogni accantonati magari da tutta una vita, e i valori per cui la propria vita ha un senso. Mentre siamo intenti nel vivere le cose per noi significative, è più difficile essere spaventati dalla morte.

Della morte ci spaventano l’ignoto, la perdita dei legami e di tutto ciò che abbiamo costruito, la perdita del controllo sulla nostra vita. Pensare la morte è necessario per esserne meno spaventati. Pensarla significa accettarla, rinunciare al controllo totale sulla nostra vita e concentrare le energie su quello che è in nostro potere, come uno stile di vita salutare.

Anche riflettere su cosa c’è dopo la morte, esplorare quanto le diverse culture, le diverse fedi religiose, le dottrine filosofiche e la scienza hanno detto sul tema, ci aiuta ad avere una nostra visione che aiuta a fare i conti con la morte e l’angoscia dell’annullamento.
Se la paura è che non resti niente dopo di noi, impegnarci a coltivare le relazioni affettive, a contribuire a una causa comune in innumerevoli modi, dal fare volontariato al piantare un albero, ci permettono di sentire che resterà una traccia di noi.

Dott.ssa Lucia Montesi
Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Tel. 339.5428950

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