Benessere

Insoddisfazione lavorativa: cosa è in nostro potere cambiare

L'insoddisfazione lavorativa può dipendere da cause esterne o da fattori personali. Su questi possiamo agire per un cambiamento migliorativo

Foto di SnapwireSnaps da Pixabay

Crisi economica, precarietà dell’occupazione, futuro incerto: trovare lavoro in questo periodo storico è particolarmente difficile e molte persone si vedono costrette ad accontentarsi, ad accettare condizioni che in periodi più floridi non accetterebbero. D’altra parte, insoddisfazione e malessere lavorativo dilagano, con tutte le conseguenze sul benessere psico-fisico e sulla stessa identità personale e sociale, dal momento che spesso ci identifichiamo col ruolo che ricopriamo.

La soddisfazione lavorativa è definita come “un piacevole o positivo stato emotivo dato da una valutazione del proprio lavoro o delle esperienze lavorative”, “un sentimento di piacevolezza derivante dalla percezione che l’attività professionale svolta consente di soddisfare importanti valori personali connessi al lavoro” (Locke). La soddisfazione lavorativa deriva dal confronto tra i risultati raggiunti e quelli che la persona si aspetta, che  desidera o che ritiene sia necessario raggiungere nel proprio lavoro.

Numerosi fattori influenzano in modo significativo la soddisfazione lavorativa: le condizioni di lavoro (orari, ambiente fisico), il carico di lavoro, la varietà del lavoro, la retribuzione, la possibilità di un equilibrio tra vita privata e lavoro, la stabilità, l’utilità del proprio lavoro, il riconoscimento dei risultati, il grado di autonomia, il grado di responsabilità, la possibilità di formazione, le opportunità di avanzamento e carriera, le opportunità di crescita personale, la possibilità di usare le proprie capacità, il rapporto con i colleghi, il rapporto con i superiori, le caratteristiche di personalità. Non è la situazione lavorativa in sé a determinare insoddisfazione, ma i pensieri che la persona fa riguardo ad essa, il modo in cui la interpreta, il significato che le attribuisce. Così lo stesso identico lavoro può risultare estremamente appagante per uno ed intollerabile per un altro. Ciò che procura insoddisfazione, è soprattutto un senso di mancata autorealizzazione (Lencioni).

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Alcune cause di insoddisfazione sono esterne e poco modificabili, altre hanno più a che fare con la personalità del lavoratore e potrebbero essere modificate per ottenere una maggiore soddisfazione lavorativa. Vediamo alcuni esempi di fattori più interni all’individuo che possono determinare una condizione o una percezione di insoddisfazione:

Perfezionismo: comporta il tendere sempre a qualcosa di meglio, al risultato ottimale, alle condizioni ideali e può portare a bloccarsi, a non iniziare o a non terminare un lavoro, oppure a  una sensazione costante di non aver fatto abbastanza.

Bisogno di essere apprezzati: può portare ad accumulare frustrazione e risentimento se il riconoscimento  non arriva, oppure ad accettare tutto pur di ottenere conferme.

Sindrome dell’impostore: consiste nel pensare che gli altri sopravvalutino le proprie capacità o i successi raggiunti, nel credere che questi siano dovuti solo al caso o alla facilità del lavoro e nel timore di essere smascherati da un momento all’altro.

Sfiducia nelle proprie capacità con conseguente rinuncia a prendere iniziative, proporre idee e progetti, proporre soluzioni a problemi.

Mancanza di motivazione.

Paura del cambiamento e dell’ignoto con conseguente rassegnazione a restare in una condizione insoddisfacente.

Timore del conflitto e difficoltà di gestione del conflitto: inducono ad evitare confronti e discussioni, a non esprimere la propria opinione e a non far valere i propri diritti, a non avanzare richieste.

Difficoltà a relazionarsi con gli altri e a comunicare in modo assertivo, ovvero né passivo, né aggressivo.

Difficoltà a porre limiti, a dire di no anche quando sarebbe possibile per senso di colpa, senso del dovere, eccessivo senso di responsabilità.

Difficoltà a godere dei risultati raggiunti per la tendenza a inseguire sempre nuove sfide.

Difficoltà a staccare dal lavoro per il bisogno di tenere tutto sotto controllo, per la difficoltà a delegare, per mancanza di fiducia negli altri.

Se sulle cause esterne di insoddisfazione lavorativa è più difficile intervenire, questi fattori sono maggiormente sotto il controllo personale. Come possiamo lavorare su questi per migliorare la nostra soddisfazione lavorativa?
Aumentando la consapevolezza di noi stessi, di obiettivi, emozioni e motivazioni. Molte persone sono insoddisfatte del proprio lavoro, ma non sanno mettere a fuoco il motivo preciso e non sanno dire cosa vorrebbero. Il malessere e le emozioni negative, piuttosto che essere repressi, possono essere usati per riflettere: si tratta di un disagio temporaneo o continuativo?  Quali sono le mie priorità? Cosa sto sacrificando? Su cosa ho il potere di intervenire?

Accettando ciò che non può essere cambiato per evitare di sprecare energie in una battaglia inutile e indirizzarle altrove.

Riconoscendo e affrontando il nostro bisogno di approvazione, il nostro senso del dovere, la difficoltà a dire di no, la nostra paura del conflitto, anche con l’aiuto di uno specialista.

Concentrandoci sul presente e su tutto ciò che può rendere più confortevole il posto di lavoro.

-Mettendo un’impronta personale in ciò che facciamo.

Migliorando la comunicazione: impariamo a dire a superiori e colleghi come ci sentiamo, di cosa abbiamo bisogno, facendo richieste chiare e brevi.

-Valutando la fattibilità degli obiettivi: i risultati desiderati sono concretamente realizzabili?

Evitando i paragoni con altri.

Affrontando la paura delle critiche e del fallimento.

-Diventando consapevoli del criterio con cui valutiamo la nostra soddisfazione: più la leghiamo ai risultati raggiunti o all’apprezzamento di altri, più sarà alla mercè  di qualcosa di esterno e poco controllabile.  

Dott.ssa Lucia Montesi, Psicologa Psicoterapeuta
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