Benessere

Diventare genitori con la procreazione assistita: un percorso impegnativo tra speranza e paure

Intraprendere un percorso di procreazione assistita richiede alla coppia un importante investimento sia sul piano fisico che emotivo. Ecco l’approfondimento della psicoterapeuta Lucia Montesi

L’infertilità è attualmente una condizione diffusa, con un tasso di prevalenza che raggiunge il 16% nei paesi maggiormente sviluppati del mondo. Una delle strade che la coppia può decidere di intraprendere di fronte a una diagnosi di infertilità è la Procreazione Medicalmente Assistita. Sotto questa dicitura rientrano tutte le metodiche e i trattamenti che aiutano ad ottenere il concepimento e la gravidanza. La fecondazione può avvenire all’interno del corpo della donna (inseminazione artificiale: IUI, ICI, IPI, ITI) o in vitro (FIVET, ICSI, GIFT, ZIFT, TET). I gameti possono appartenere alla coppia (fecondazione omologa) o provenire da donatori (fecondazione eterologa).

L’infertilità rappresenta una crisi nel ciclo vitale della coppia che provoca un forte impatto sul benessere psicologico, con conseguenze come rabbia, senso di colpa, senso di inadeguatezza e isolamento, e che richiede di essere adeguatamente elaborata. Rappresenta un vero lutto che costringe a confrontarsi con la perdita dell’immagine di sé come persona capace di generare, con la perdita del bambino immaginato e del proprio progetto familiare, con il senso di ingiustizia, con l’invidia verso le coppie che riescono a procreare. Il ricorso alla procreazione assistita si aggiunge come ulteriore condizione stressante che richiede un investimento ingente in termini fisici, emotivi, economici.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Gli elementi stressanti in un percorso di procreazione assistita sono molteplici. La coppia deve decidere quale trattamento scegliere, affrontare eventuali fallimenti, decidere quando smettere con i tentativi. L’iter può essere lungo e complesso, comportare esami diagnostici, soppressione e somministrazione di ormoni, procedure più o memo invasive. La coppia entra in un mondo fino a quel momento sconosciuto e deve familiarizzare con tecniche e procedure nuove, in un contesto medico che molti percepiscono come freddo, asettico, lontano dall’intimità dell’atto d’amore che ciascuno immagina come origine di una nuova vita. La sessualità viene vissuta come meno naturale, il corpo diviene medicalizzato. Possono emergere preoccupazioni etiche e sensi di colpa riguardo al destino dei gameti e degli embrioni sovrannumerari e fantasie disturbanti sulle condizioni in cui vengono conservati. L’attesa è dominata dall’incertezza, dal senso di incontrollabilità dell’esito, dall’oscillazione continua tra speranza e paura dell’insuccesso.

Se il trattamento va a buon fine, si ottiene una gravidanza. Intuitivamente ci si potrebbe aspettare una reazione particolarmente e completamente positiva, in realtà i sentimenti sperimentati sono contrastanti. Sono frequenti ansia sull’andamento della gravidanza e sulla salute del bambino maggiori rispetto alle gravidanze ottenute in modo naturale, sfiducia che il bambino possa nascere, allarme per ogni sintomo sospetto. L’ansia per i rischi di ogni gravidanza è amplificata da tutto l’investimento fisico ed emotivo che in questo caso si è reso necessario, può inoltre spesso trattarsi di una gravidanza multipla, che presenta maggiori pericoli. La coppia si trova improvvisamente a dover ridefinire di nuovo la propria identità e passare da lunghi anni di infertilità, che possono portare ad avere una percezione globale e pervasiva di sè come innanzitutto “persona infertile”, all’attesa di un figlio reale e alla nuova identità di madre e padre. La coppia, dopo un percorso che può durare anni, fa fatica a staccarsi da tutto il mondo precedente e a passare “dall’altra parte”, nel mondo di quei genitori che tanto ha invidiato.

La non naturalità della gravidanza può far sentire comunque diversi dagli altri genitori. Paradossalmente, inoltre, le donne che ottengono una gravidanza con procreazione assistita possono documentarsi meno delle altre sulla genitorialità e sulla nascita, ritardare i preparativi fino all’ultimo, comunicare poco con il feto, cercando di non alimentare troppe illusioni, ma in questo modo rendendo più difficile il passaggio alla genitorialità. In caso di sintomi depressivi e insoddisfazione dopo la nascita dei figli, le madri si sentono particolarmente in colpa perché pensano che, dopo tanta attesa e tanti sacrifici, dovrebbero essere solo molto felici. Possono idealizzare la genitorialità, pensare di dover essere perfette, e questo rende più complicato tollerare e gestire i sentimenti ambivalenti che fanno normalmente e universalmente parte dell’esperienza della genitorialità.

Nella fecondazione eterologa si aggiungono ulteriori complessità legate alla donazione delle cellule uovo o degli spermatozoi o di entrambi. Sono frequenti problemi di tipo etico e preoccupazioni sulla riservatezza della reale origine del figlio. Può essere presente la paura che il figlio non assomigli abbastanza ai genitori, nonché  la paura di non riuscire ad amarlo. Può in effetti accadere di sentire come estraneo il figlio che non condivide i propri geni. Quando solo uno dei partner riceve il gamete, può crearsi uno sbilanciamento nella coppia: fantasie di un triangolo con la persona donatrice e di tradimento, sensazione di inferiorità nel partner che riceve il gamete rispetto all’altro che può trasmettere il suo patrimonio genetico. È molto importante che tutti questi aspetti vengano affrontati e discussi all’interno della coppia.

Le percentuali di successo  oscillano tra il 10 e il 30% a seconda della tecnica e di altre variabili, pertanto il rischio di confrontarsi con l’ennesimo fallimento della possibilità di concepire è elevato. Fallimento che arriverebbe dopo una già lunga sequenza di fallimenti dei tentativi di concepire naturalmente, con tutta la sofferenza sedimentata in anni di frustrazioni. In caso di aborto, di solito le conseguenze psicologiche sono peggiori rispetto agli aborti di chi ha concepito in modo naturale e l’ansia della delusione di un nuovo trattamento aumenta. La coppia si trova anche a dover decidere fino a dove spingersi e quando fermarsi. In caso di fine del trattamento, si trova a dover affrontare la definitiva impossibilità di generare un figlio: un nuovo ulteriore lutto, dover abbandonare definitivamente l’immagine fantastica del proprio figlio biologico.

Molti studi rilevano livelli di ansia e depressione significativi e peggioramento della qualità di vita e della soddisfazione della coppia in caso di infertilità e durante il percorso di pma, ma allo stesso tempo emerge anche una grande capacità delle coppie di riorganizzare i propri obiettivi di vita. I pesanti vissuti legati alla difficoltà a procreare hanno bisogno di essere digeriti ed elaborati con un adeguato supporto, ma le coppie possono superare la crisi esistenziale dovuta all’infertilità ridefinendo la propria identità e imparando a investire in progetti alternativi alla genitorialità biologica naturale e in forme diverse di generatività.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Consulenza, sostegno e psicoterapia prevalentemente online tramite videochiamata
Studi a Piane di Camerata Picena (AN) e
Montecosaro Scalo (MC)
Per appuntamento tel. 339.5428950

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