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I confini nella famiglia: perché sono così importanti per la salute psicologica?

I disturbi psicologici di un individuo possono essere il risultato di confini troppo labili o troppo rigidi all'interno della famiglia d'origine. Ecco perché

famiglia, bambino
(Foto da Pixabay di MabelAmber)

“Confini”, “sistemi”, “sottosistemi”, “gerarchie generazionali”: sono termini abituali per chi si occupa di terapia familiare, un po’ meno per i non addetti ai lavori. Concetti apparentemente ostici, che però vale la pena approfondire perché sono alla base di buona parte dei disturbi psicologici dell’individuo, e perché ciascuno possa avere uno strumento in più per testare la salute delle proprie relazioni familiari e per, eventualmente, aggiustare il tiro.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Nella famiglia esiste una gerarchia generazionale che distingue il livello dei nonni, dei genitori e dei figli ed esistono dei sottosistemi, ad esempio quello della coppia coniugale, quello della coppia genitoriale, quello dei fratelli. Ogni membro appartiene a una generazione e a diversi sottosistemi, in cui entra in differenti relazioni e ha un diverso grado di potere. Tra le generazioni e tra i sottosistemi ci sono dei confini, che definiscono chi partecipa e come. Confini chiari e solidi proteggono da indebite interferenze, ma un certo grado di flessibilità è necessario per permettere un riassestamento quando le situazioni cambiano. Ne consegue un difficile, costante lavoro di costruzione e ridefinizione dei confini. Difficoltà in questo processo sono comuni a tutte le famiglie ma, quando superano una certa soglia, possono sfociare in disagio psicologico o psicopatologia di uno o più membri.

Ma cosa significa, in termini concreti, avere dei buoni confini? Ad esempio, per il  sottosistema coniugale, significa proteggere il proprio spazio da richieste eccessive dei figli o dei nonni e avere un reciproco accomodamento e sostegno. I figli dovrebbero restare esclusi dal funzionamento specifico della coppia, non essere coinvolti in discussioni o problemi che non li riguardano, o essere destinatari di confidenze che riguardano la coppia.

Un sottosistema genitoriale con un buon confine fa sì che la coppia genitoriale possa decidere sull’educazione e le regole da dare ai figli in autonomia, senza subire, ad esempio, le ingerenze dei nonni, e riuscendo a confrontarsi e discutere su queste tematiche al proprio interno, senza coinvolgere i figli, come accade quando un genitore scredita l’autorità e le regole dell’altro davanti al figlio.

Il sottosistema dei fratelli rappresenta una buona palestra in cui sperimentare le prime relazioni sociali, apprendere come competere e cooperare. I modelli sviluppati tra fratelli vengono poi riproposti nell’ambiente extrafamiliare nelle relazioni con i coetanei e a loro volta vengono da queste arricchiti, in uno scambio continuo. Un confine sano intorno a questo sottosistema si traduce nella possibilità di avere interessi propri, di mettersi alla prova, di gestire autonomamente i conflitti tra fratelli senza le interferenze dei genitori.

Quando i confini tra sottosistemi e generazioni sono troppo labili, si parla di famiglia “invischiata”. Nelle famiglie invischiate, il comportamento di un membro si riflette subito su quello degli altri: la distanza tra in membri è ridotta, la comunicazione è intensa e si concentra dentro la famiglia piuttosto che rivolgersi anche all’esterno. Queste famiglie hanno le porte aperte, sia in senso reale che metaforico: gli spazi personali fisici e psichici non sono rispettati, tutti sanno tutto degli altri. C’è un coinvolgimento eccessivo tra i membri, ognuno entra nei pensieri e sentimenti degli altri; il senso di appartenenza alla famiglia supera quello di identità e ogni separazione diventa un tradimento: così l’invischiamento può bloccare l’esplorazione, lo sviluppo cognitivo e affettivo. Esiste un elevato rischio che un membro della famiglia, spesso un figlio, sviluppi un sintomo psicopatologico che permetta di evitarne l’allontanamento.

Confini troppo rigidi caratterizzano invece la famiglia “disimpegnata”: al contrario della famiglia invischiata dove le tensioni passano fin troppo facilmente tra i sottosistemi, qui non riescono a passare, cosicché gli altri membri non rispondono al singolo neanche quando dovrebbero. Non passano richieste di aiuto e sostegno, non c’è un senso di appartenenza o lealtà familiare.

La maggior parte delle famiglie presenta caratteristiche di entrambe le tipologie, che si alternano e modificano nel tempo. Il sottosistema madre-figli può tendere all’invischiamento finchè i figli sono piccoli, mentre il padre è più disimpegnato nei loro confronti, per poi rientrare con un impegno maggiore quando i figli sono più grandi. La patologia riguarda le situazioni estreme, ad esempio quando madre e figlio sono così invischiati da escludere sempre il padre, determinando un ostacolo all’autonomia dei figli.

Un pericoloso problema di confini è la cosiddetta “triade rigida”, in cui il confine tra genitori e figli è confuso e  quello intorno alla triade è rigido. Ad esempio, il figlio può essere triangolato, tirato da ogni genitore dalla propria parte, con conseguenti sensi di colpa e conflitti di lealtà; oppure, un problema del figlio può essere inconsapevolmente “usato” dai genitori per evitare il conflitto tra loro, unendosi nella preoccupazione per il figlio e concentrandosi sui suoi problemi; o ancora, un genitore si coalizza con un figlio contro l’altro genitore con l’obiettivo di arrecargli un danno.

Quando il genitore chiama il figlio ad allearsi con sé, crea una coppia impari i cui il bambino non può crescere. L’adulto ha bisogno di un altro adulto a cui rapportarsi, e il bambino non può caricarsi sulle spalle il peso di un genitore. Tocca all’adulto che sta sopra costruire una buona linea di confine per il figlio che sta sotto, ed è sempre dal genitore che parte la richiesta di passare nella propria generazione. Il bambino risponde alla richiesta dell’adulto, perché si sente in colpa se il genitore soffre e cerca di aiutarlo.

La labilità del confine tra le generazioni può rendere i genitori incapaci di imporre regole ed esercitare l’autorità. Il genitore che cerca di essere un amico per il figlio, non risponde al bisogno del bambino di essere contenuto da regole, autorità e sicurezza. In ogni caso, ciascuno perde molto: ad esempio, una donna che chieda alla figlia di farle da partner o da amica, perde la figlia e perde la sua dimensione di donna adulta, mentre la ragazza perde una madre e la possibilità di vivere la propria adolescenza. In generale, ogni generazione dovrebbe avere dialoghi tra pari: la patologia nasce dall’invasione di una generazione nell’altra.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
Per appuntamento tel. 339.5428950
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