Benessere

Condividere sui social la vita dei propri figli: rischi e implicazioni dello “sharenting”

Pubblicare sui social contenuti che riguardano i propri figli è un'abitudine sempre più frequente con implicazioni non ancora del tutto conosciute e con potenziali rischi

donna, smartphone, tazza di tè
(Foto di Marie da Pixabay)

Possono essere le foto della nascita, dei compleanni, del primo giorno di scuola, oppure le foto della pagella o il video della recita scolastica. Può trattarsi di foto buffe, o invece di scatti fatti in ospedale durante una malattia. Possono essere i racconti di qualche loro malefatta, o la spiegazione di qualche loro sintomo in un gruppo di mamme o su una pagina pubblica che offre consulenze. Per alcuni, ancor prima della nascita, si tratta dell’immagine della loro ecografia, o dei video della festa con cui i genitori hanno rivelato il loro sesso biologico e il loro nome. Il materiale relativo ai bambini condiviso online dai loro genitori è quantitativamente enorme e copre  ogni ambito di vita di bambini e ragazzi. Una mole di informazioni potenzialmente alla mercé di chiunque, con effetti ancora poco studiati ma indubbiamente da approfondire, viste le molteplici implicazioni psicologiche, pedagogiche, legali.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Il neologismo sharenting, fusione di share (condividere) e parenting (genitorialità), indica la pubblicazione sui social network da parte di genitori di informazioni e immagini che riguardano i propri figli, con l’intento di raccontare e condividere con altri le proprie esperienze vissute con i figli. Si tratta di un fenomeno recente e ancora poco indagato in Italia, ma è palese che questa generazione di bambini viva un’ esposizione che non ha precedenti. Negli Stati Uniti sono già stati condotti diversi studi che segnalano la crescente abitudine da parte dei genitori di pubblicare foto, video o testi relativi ai propri figli, soprattutto su Facebook e Instagram: il 92% dei bambini di 2 anni hanno già una presenza online (P. Otero, 2017), e in circa metà dei casi quando i bambini appaiono in rete viene riportato anche il loro nome. In media, un bambino di 5 anni ha avuto circa 1500 sue foto pubblicate online (Nominet, 2016). Nel caso di figli di personaggi famosi, accade che le loro immagini vengano viste da milioni di persone, ma anche nel caso di persone comuni con una cerchia di contatti ridotta, il rischio che il contenuto esca da quel contesto e venga rilanciato altrove è sempre elevato, diventa quindi imprevedibile quanto e quale pubblico avrà in mano quel materiale.

Perché si condivide la vita dei propri figli sui social? I genitori sostengono che il loro fine principale sia condividere le proprie emozioni con amici e familiari, in particolare la loro gioia. Secondariamente, lo considerano un modo per condividere preoccupazioni, scambiare consigli per la gestione dei figli, chiedere consulenze su malattie e problemi di comportamento ad altri utenti o ad esperti. Per molti studiosi del fenomeno, tra le motivazioni occorre considerare anche una gratificazione narcisistica, un bisogno di ricevere approvazione e riconoscimento, che in qualche misura verosimilmente è sempre presente nella condivisione di contenuti sui social e che, se resta nei limiti della moderazione, non è necessariamente da considerare in modo negativo.

La pratica dello sharenting è controversa, a causa delle conseguenze che può produrre. Il pericolo più facilmente percepito dall’opinione pubblica è che il materiale pubblicato possa essere intercettato e usato da sconosciuti e in particolare a scopi sessuali da pedofili, considerando che anche impostando filtri per la privacy e per restringere il pubblico o pubblicando in gruppi privati, basta uno screenshot per divulgarlo ovunque in modo potenzialmente virale. Le immagini possono essere scaricate così come sono, ma anche modificate, manipolate a fini anche illeciti. Inoltre dalle informazioni e dalle immagini postate, si può risalire ai luoghi frequentati dai bambini, cosa che può facilitare malintenzionati nell’avvicinarsi al bambino e agganciarlo. Conoscendone i dati personali, potendo mostrare di conoscere il suo nome, il nome dei genitori, della sorellina, del suo cagnolino, e così via,  diventa facile per un adulto estraneo spacciarsi agli occhi del bambino come, ad esempio, un amico di famiglia, e ottenerne la fiducia.

Lo sharenting comporta per bambini e ragazzi la perdita della privacy: informazioni anche molto personali sono alla mercè di chiunque e restano nel web potenzialmente per sempre. Anche da un punto di vista etico, può essere discutibile il fatto di divulgare, senza chiedere il loro consenso, materiale per cui successivamente potrebbero sentirsi in imbarazzo, o feriti, o offesi. Le immagini e le informazioni diffuse dai genitori possono esporre il bambino a commenti malevoli, al rischio di essere ridicolizzato o bullizzato.

Come vivono lo sharenting i figli adolescenti? Uno studio di G. Ouvrein (2019) si è concentrato sull’effetto dello sharenting sugli adolescenti, segnalando che esso condiziona il concetto di sé dell’adolescente e può generare frustrazione in quanto i contenuti imbarazzanti postati dai genitori contraddicono l’immagine di sé che essi cercano di costruire e rimandare. Gli adolescenti in gran parte disapprovano lo sharenting, ritenendolo imbarazzante e inutile. D’altro canto, gli adolescenti percepiscono come più innocua la pubblicazione di  materiale di neonati o bambini piccoli, in quanto ritengono che comunque  le persone non li riconosceranno quando cresceranno.

Senza estremizzare e senza demonizzare questa abitudine, è però utile ed opportuno per i genitori porsi delle domande e acquisire consapevolezza: quanto condivido della vita di mio figlio? Con chi lo condivido? Perché lo faccio? Senza colpevolizzarsi in modo drastico, ma anche senza ignorare le possibili implicazioni.  Alcune indicazioni possono essere utili ai genitori per agire in modo responsabile e per ridurre i rischi connessi a questa abitudine (S. Steinberg, 2016; P. Otero, 2017):

  • Fare attenzione alle impostazioni della privacy dei contenuti sul proprio profilo e conoscere bene le regole di privacy dei siti su cui si condivide materiale.
  • Attivare notifiche che allertano quando il nome dei figli appare in un risultato di Google.
  • Essere cauti nel rendere nota la posizione dei figli.
  • Evitare di condividere informazioni sulle abitudini quotidiane.
  • Usare l’anonimato nel condividere informazioni sullo stato di salute.
  • Interpellare i figli (soprattutto se di età superiore ai 5 anni, e in particolare in caso di adolescenti) prima di pubblicare ciò che li riguarda, dar loro la possibilità di esprimere la loro opinione.
  • Non pubblicare foto o video in cui i figli sono nudi: anche una foto di un bimbo al mare, che per la maggior parte delle persone è innocua e tenera, per alcune può purtroppo avere risvolti sessuali ed essere usata a tali fini.
  • Chiedersi quali conseguenze possa avere la pubblicazione nel presente e nel futuro, in particolare chiedersi: come reagirebbe mio figlio  in futuro se vedesse questo contenuto pubblicato? Questo contenuto può nuocergli in qualche modo?

Gran parte di queste indicazioni attengono al semplice buon senso, eppure molti genitori le disattendono con eccessiva leggerezza. Acquisendo maggiore consapevolezza e adottando qualche accortezza in più, si può trovare un accettabile compromesso tra desiderio di condividere, rispetto dei diritti dei propri figli e sicurezza.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Consulenza, sostegno e psicoterapia online tramite videochiamata
Studi a Piane di Camerata Picena (AN) e
Montecosaro Scalo (MC)
Per appuntamento tel. 339.5428950


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