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Non solo bullo e vittima: il ruolo del gruppo nel bullismo

Gregari, sostenitori e spettatori: anche quando sembrano neutrali, tutti contribuiscono a mantenere le prepotenze del bullo. Ecco l'analisi della psicologa

bullismo
(Foto da Pixabay di Wokandapix)

Con “bullismo” si intende qualsiasi comportamento aggressivo indesiderato (dalla violenza fisica, a quella verbale, all’esclusione dal gruppo, al danneggiamento di oggetti personali) messo in atto da una singola persona o da un gruppo, in cui ci sia uno squilibrio di potere con la vittima e che si ripete più volte. Per molto tempo gli studi sul bullismo si sono concentrati solo sulla diade bullo-vittima e sullo studio delle loro personalità, mentre attualmente la ricerca allarga lo sguardo e intende approfondire il ruolo del contesto e del gruppo, in quanto appaiono avere un peso consistente, se non determinante, nell’insorgenza e nel mantenimento del fenomeno.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Il bullismo non è un atto isolato, ma viene ripetuto nel tempo. In molte occasioni sono presenti altri soggetti oltre al bullo e alla sua vittima (più dell’80% degli episodi), ma anche quando questi non sono presenti fisicamente, sono comunque a conoscenza di ciò che accade.

Come andrebbero le cose se coloro che assistono agissero diversamente? Modificando il contesto, anche il comportamento del bullo si modificherebbe. Una ricerca di Pepler e Craig (1995) ha rilevato che la presenza di altre persone aumenta la probabilità che il bullo agisca le sue prepotenze sulla vittima per un tempo maggiore. In assenza di spettatori, è meno probabile che il bullo aggredisca la vittima. Il bullo si nutre infatti del continuo rinforzo che gli viene dal gruppo.

I ruoli coinvolti nel fenomeno del bullismo

Secondo il modello di Salmivalli, nel bullismo sono coinvolti sei ruoli:
1) Il bullo: è il soggetto che attivamente mette in atto le prepotenze ai danni della vittima, chi per primo realizza l’azione e incita altri ad unirsi, il leader del gruppo. Non è mai da solo. Può essere sia maschio che femmina e di solito sceglie una vittima che per qualche caratteristica (aspetto fisico, religione, orientamento sessuale, ecc.) appare diversa.
2) La vittima: la persona che subisce le continue prepotenze del bullo. La vittima è spesso un soggetto isolato, che non ha amici o ha amici con altre difficoltà. Il ruolo della vittima è complesso e contraddittorio, non esente da aspetti di aggressività e ostilità, così come risulta dalla percezione che ne hanno gli altri.
3) L’aiutante o gregario: agisce attivamente le prepotenze, ma in un ruolo secondario rispetto al bullo e solo dopo che il bullo ha dato il via all’azione violenta, con un ruolo minore, come tenere ferma la vittima. Di solito il bullo ha 2 o 3 aiutanti.
4) Il sostenitore: rinforza e incoraggia il comportamento del bullo con comportamenti più attivi come incitare, ridere e applaudire o più passivi come stare a guardare sorridendo. Si tratta di un ruolo molto diffuso.
5) Il difensore: prende le difese della vittima, cerca di far cessare le prepotenze, la consola.
6) L’esterno o spettatore passivo: chi cerca di restare fuori dalla situazione, è un osservatore passivo, non difende la vittima ma non incita il bullo. Molti ricoprono questo ruolo, che risulta ambiguo, percepito da alcuni negativamente, da altri positivamente. Nei fatti, astenersi non è mai neutrale e ha l’effetto di rinforzare il bullo, perché veicola al bullo il messaggio che il suo comportamento non verrà fermato o contrastato.

Bullismo, perché una persona assume un ruolo o l’altro

Cosa fa sì che un soggetto assuma un ruolo o l’altro?
– Una variabile potrebbe essere lo status sociale ricoperto nel gruppo.  Ad esempio un ragazzino con uno status sociale basso nel gruppo potrebbe esitare a difendere la vittima per paura di essere a sua volta preso di mira dal bullo. Potrebbe quindi solidarizzare con la vittima e provare empatia, ma i suoi comportamenti potrebbero andare in direzione anche diametralmente opposta, per influenza del gruppo.
– Il sottogruppo degli amici ha un’influenza potente sul singolo, facendo sì che l’individuo si comporti come i suoi amici, imitandoli. I bulli scelgono come amici altri bulli che fungano da sostenitori e aiutanti, rinforzando reciprocamente i comportamenti aggressivi. Bambini e ragazzini “al limite”, con comportamenti problematici, che vengono esclusi dai compagni e non riescono a fare amicizia, vengono facilmente reclutati nella combriccola del bullo dove trovano accettazione e un’identità. Diventare aiutanti del bullo può far credere ai ragazzi più insicuri di guadagnare maggiore visibilità agli occhi degli altri e di potersi finalmente affermare.
Un basso senso di autoefficacia: gli esterni, ad esempio, spesso provano empatia per la vittima, ma non intervengono in sua difesa perché non si sentono in grado di farlo.
– La diffusione della responsabilità: anche i soggetti più miti possono prendere parte ad azioni violente o non fare nulla per fermarle perché maggiore è il numero di persone presenti, minore è la responsabilità che ognuno avverte su di sé: “Perché dovrei intervenire io?”, “Perché gli altri non lo fanno?”, “Se nessuno interviene ci sarà un motivo, quindi aspetto di capire meglio”, “Possono esserci altri più capaci di me di intervenire”, e così nessuno interviene.

Da tutte queste considerazioni, deriva che gli interventi per contrastare il bullismo devono essere indirizzati al gruppo intero: lavorare sul singolo soggetto avrà effetti solo temporanei se non viene modificata anche l’influenza esercitata dal gruppo.  Ognuno dei personaggi coinvolti può avere un ruolo cruciale sia nel mantenere che nell’interrompere il fenomeno. Se nessuno ride alle battute del bullo, questo smetterà di farle. Se aumentano le figure dei difensori, le prepotenze verranno più facilmente interrotte. Se vengono meno gli spettatori, verrà meno anche il carburante che alimenta il bullismo.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
Piane di Camerata Picena (AN)
Montecosaro Scalo (MC)
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