Benessere

Giornata mondiale dell’obesità, come affrontare il problema con l’aiuto della psicoterapia

La psicoterapia permette di intervenire su quei fattori psicologici che ostacolano l'assunzione di uno stile di vita più sano e compromettono la perdita di peso

L’obesità è una patologia cronica caratterizzata da un eccesso di massa grassa o da un indice di massa corporea (ricavato dal rapporto tra peso in chilogrammi e altezza elevata al quadrato in metri) superiore o uguale a 30. Si parla di sovrappeso con un indice tra 25 e 29,9, di obesità moderata tra 30 e 34,9, di obesità severa tra 35 e 39,9, di obesità grave se l’indice è superiore a 40. L’obesità causa una compromissione della qualità della vita e indirettamente può ridurre l’aspettativa di vita per le complicanze mediche che comporta, è perciò necessario trattarla. L’obesità ha un’origine multifattoriale, pertanto l’approccio medico tradizionale basato sulla sola restrizione alimentare conduce spesso a un mancato mantenimento dei risultati e anzi a un maggior rischio di abbuffate e recupero del peso, innescando di conseguenza fallimento, vergogna e depressione, se non viene integrato in un intervento più ampio di tipo psicologico, psicoterapeutico, educativo e comportamentale. L’obiettivo del trattamento  non deve essere solo la perdita di peso, ma favorire il  benessere generale, il miglioramento della qualità di vita e la capacità di controllare il comportamento alimentare, attraverso un trattamento di tipo multidisciplinare come raccomandato dalle linee guida.

Lucia Montesi
La psicoterapeuta Lucia Montesi

Un intervento psicologico che si è dimostrato efficace è la psicoterapia cognitivo comportamentale, che aiuta la persona obesa a  modificare lo stile di vita e ad acquisire abilità comportamentali per mantenere i risultati ottenuti. La sola forza di volontà purtroppo spesso non è sufficiente e anche se inizialmente la persona ottiene una perdita di peso, a lungo termine tende a riprendere i comportamenti abituali. Il vero problema dell’obesità è infatti l’aderenza del paziente alle modificazioni dello stile di vita necessarie per perdere e mantenere il peso e i fattori psicologici possono ostacolare e rendere più difficile tale aderenza.

Con lo strumento della bilancia decisionale, la terapia cognitivo comportamentale innanzitutto aiuta a rafforzare la consapevolezza e la motivazione mettendo bene a fuoco e a confronto i costi e i benefici dell’intraprendere un cambiamento, valutando da un lato gli sforzi che saranno necessari per ottenere la perdita di peso e dall’altro i vantaggi che la persona si aspetta di ottenere. Questo lavoro permette anche di identificare e disinnescare cognizioni che comportano maggior rischio di fallimento del trattamento, come aspettative troppo elevate sulla perdita di peso o il puntare solo sulla modificazione dell’aspetto come motivazione, con attese irrealistiche.

La terapia cognitivo-comportamentale permette anche di allenare le capacità di soluzione dei problemi e di gestione delle emozioni: lo scopo è imparare a riconoscere le situazioni a rischio e a gestirle senza perdere il controllo sull’alimentazione. Il primo passo consiste nell’acquisire consapevolezza di come si usa il cibo come risposta a un problema o un’emozione. A questo fine, è molto utile l’automonitoraggio del cibo assunto attraverso lo strumento del diario, in cui la persona annota non solo quantità e qualità del cibo, ma anche le circostanze ambientali, sociali ed emotive in cui il cibo è stato assunto. Il diario non solo permette di ottenere importanti informazioni sul comportamento alimentare, ma è già di per sé terapeutico perché favorisce la consapevolezza delle situazioni che stimolano l’alimentazione eccessiva e permette di riflettere nel momento in cui si sta per assumere il cibo invece che agire automaticamente. Il diario permette di individuare situazioni o condizioni antecedenti, concomitanti e conseguenti all’assunzione di cibo, su cui si può agire per controllare più efficacemente lo stimolo a mangiare. Si può agire sugli antecedenti ad esempio cambiando il modo di fare la spesa, di riporre il cibo, di prepararlo, di servirlo; nel momento del pasto si può intervenire mangiando più lentamente, evitando di guardare la tv o il cellulare o di fare altro; sulle conseguenze si può decidere di alzarsi subito da tavola, sparecchiare subito, gettare gli avanzi.

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Il diario permette anche di mettere meglio a fuoco il peso degli stimoli sociali nell’indurre a un’alimentazione eccessiva. Le situazioni sociali possono avere una notevole influenza sull’assunzione eccessiva di cibo, ad esempio il mangiare in compagnia porta più facilmente ad eccedere. Diventa perciò importante individuare quali sono le persone (familiari, amici, colleghi…) e gli ambienti che hanno un effetto deleterio e quelli che invece sono di sostegno alla persona e al suo proposito di alimentarsi in modo più sano.

Scopo della terapia è anche aiutare la persona a riconoscere meglio i segnali di fame e sazietà e a distinguere la fame da altro, ovvero tutte le situazioni in cui si mangia non per fame ma per abitudine, per scopi ricreativi o ludici o per gestire stati emotivi. Le persone obese possono usare il cibo per gestire stress, noia, ansia, tristezza, rabbia, solitudine. Scopo della terapia è riconoscere questi bisogni per ciò che sono e trovare ad essi una risposta alternativa al cibo, che deve essere individuata caso per caso. Poiché il cibo è associato al piacere e alla gratificazione, è utile aumentare le attività che procurano soddisfazione e piacere in modo da ricorrere meno al cibo.

La psicoterapia deve anche incoraggiare a praticare attività fisica. Lo scopo è incentivare uno stile di vita attivo, ovvero aumentare l’attività fisica nelle attività abituali, cosa che non implica necessariamente dover eseguire un esercizio fisico programmato o strutturato. Si è osservato che le persone tendono a fare più attività fisica se sono istruite a praticarla da sole a casa piuttosto che frequentando una palestra e se sono incoraggiate ad aumentare l’attività durante le azioni quotidiane, ad esempio usando le scale invece che l’ascensore, spostandosi a piedi invece che in auto. Queste strategie permettono di accumulare una quantità maggiore di esercizio rispetto a quando viene data l’istruzione di praticare attività fisica in un’unica sessione giornaliera.

Altri approcci psicoterapeutici si concentrano maggiormente sulla storia della persona, i suoi vissuti e le sue relazioni e sono altrettanto utili nella terapia dell’obesità. In questi approcci l’accento viene posto sul comprendere il significato del sintomo obesità: qual è la funzione dell’essere grassi, a cosa serve in relazione alla storia della persona, alla sua esperienza, alle sue relazioni, cosa comunica agli altri, che bisogno esprime. Nella storia delle persone obese ricorrono relazioni primarie che hanno comportato sofferenza e vuoto e in cui i bisogni di gratificazione affettiva sono stati spostati sul cibo, portando a gratificarsi da soli con il cibo e a ritirarsi dalle relazioni per proteggersi. Scopo della terapia è pertanto imparare nuovi modi più sani e meno distruttivi per soddisfare i bisogni affettivi e per proteggersi dalla sofferenza.

Dott.ssa Lucia Montesi Psicologa Psicoterapeuta
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