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Suore sfrattate dal sisma

La piccola comunità claustrale – una decina di suore – di Fabriano vive in stato d'emergenza e non ci sono speranze che possa risolversi in tempi relativamente brevi

Il monastero di Fabriano

FABRIANO – Le suore cappuccine se ne vanno da Fabriano. È ormai deciso e la partenza, per sempre, avverrà presto: tra un mese, forse anche meno. La chiesa e il coro non sono agibili ed anche le celle delle suore, le quali dal 30 ottobre dormono in locali di ripiego. La piccola comunità claustrale – una decina di suore – vive in stato d’emergenza e non ci sono speranze che possa risolversi in tempi relativamente brevi.

«Ma questo terremoto – spiega lo storico fabrianese Aldo Crialesi – è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso, perché la situazione era da tempo difficilmente sostenibile. Il monastero di via Cavour è troppo grande e quindi la sua manutenzione ordinaria è diventata un peso troppo pesante per una comunità molto povera secondo la vocazione francescana, un peso insostenibile quando la manutenzione non è più soltanto quella ordinaria. D’altra parte l’antico complesso monastico è tale che dividerlo, per destinarne una parte ad altri scopi, è troppo difficile, per non dire impossibile. L’alternativa? Trovare un conventino a misura di questa comunità: altrove, se non si trova in loco».

Tempo fa si era prospettata una possibilità a Nomadelfia, nella comunità fondata da don Zeno Saltini vicino, a Grosseto, possibilità poi svanita. Ora se n’è presentata un’altra: a Fiera di Primiero, in provincia di Trento: un conventino già francescano, proprio adatto alle clarisse fabrianesi. «Se ne andranno dunque da Fabriano, per una sistemazione non più precaria, accompagnate da una nostra sommessa preghiera: che Dio le assista nella loro vocazione claustrale. Ma quanta amarezza per noi fabrianesi! Dopo aver perduto all’inizio di questo secolo le suore di carità dell’istituto S. Antonio e poi quelle della Casa di Riposo, perdiamo ora anche le clarisse cappuccine».

Eppure, Fabriano era un tempo la città sorella di Assisi. «Il Santo Poverello l’aveva scelta come primo approdo fuori della sua terra umbra, come culla della stellata provincia marchigiana del suo ordine religioso. Fabriano è stata vivaio di tanti religiosi e religiose francescani, anche proclamati beati. C’era la monumentale chiesa di San Francesco alle logge, c’erano i frati minori del convento dell’Annunziata e i cappuccini di S. Giuseppe alla Tomba (ora scuola Agraria). C’erano le Povere nella via omonima, con la chiesa di S. Onofrio. Ora sono soltanto lontani ricordi. Rimane solo il piccolo convento di S. Caterina».

«Fino a quando?» si chiede Crialesi «che ne sarà del monastero di via Cavour? Qui si venera la Madonna del Mare, cui era devoto anche il Beato Pio IX, perché sua madre si era rivolta alla sua protezione e alle preghiere delle cappuccine di Fabriano quando suo figlio era sofferente di crisi epilettiche e il Pontefice senigalliese nutrì sempre una intensa venerazione per la Madonna del Mare e riservò particolari attenzioni al monastero fabrianese delle Cappuccine che custodisce la venerata statua mariana legata alla memoria della sua guarigione ritenuta miracolosa, in questo luogo si conservano preziosi cimeli di Pio IX».

«Nella annessa chiesa dedicata a San Bartolomeo apostolo (ma noi fabrianesi diciamo chiesa delle Cappuccine) c’è la tomba di Madre Costanza Panas, morta nel 1963 in fama di santità e ora dichiarata venerabile da questo Papa, tomba che era meta (ma ora la chiesa è chiusa) di un silenzioso, ma assiduo pellegrinaggio di anime in cerca di luce e di conforto nelle traversie della vita. Chi veglierà ora su questa tomba, che è un richiamo alla fede e alla santità? Chi raccoglierà le preghiere e le espressioni di gratitudine per grazia ricevuta di quanti si rivolgono a lei? Chi sosterrà il corso del processo canonico perché Madre Costanza sia proclamata beata?» s’interroga lo storico.

«Le cappuccine, nascoste un tempo nella loro rigida clausura, come invisibili, erano una presenza ben viva per i fabrianesi che ricorrevano alle loro preghiere e alla direzione spirituale di Madre Costanza e le sostenevano con donazioni spontanee nella loro povertà di figlie di S. Francesco. Erano creature quasi mitiche, di cui si narravano storie che sembravano avvolte nella leggenda: eroiche rinunce per diventare spose di Cristo, distacchi dolorosi e poi esemplari vite di preghiera e penitenza».

Per i fabrianesi le Cappuccine erano l’espressione più alta della vocazione religiosa ed erano considerate, come e più delle altre claustrali, il parafulmine che li proteggeva dai castighi divini per i propri peccati. «Ora se ne vanno da Fabriano e all’amarezza dei fabrianesi per la loro perdita si accompagna quasi un senso di colpa per non aver saputo scongiurare la loro partenza, forse anche per averle fatte sentire sole, senza la stima e l’affetto di un tempo. Ora Fabriano – conclude amaramente Crialesi – è spiritualmente più povera».

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