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Stipendi Pesaro Urbino, Rossini della Cgil: «Paghe basse, lavoro povero, donne e under 30 penalizzati»

Ecco i dati di Ires Cgil. Il segretario provinciale: «Cala il potere d'acquisto e i giovani percepiscono poco. Avremo problemi in prospettiva»

Immagine di repertorio

PESARO – La media degli stipendi dei pesaresi è sotto quella nazionale, la Cgil analizza il dato e si dice preoccupata per lo scenario. Perché ci sono troppi somministrati e intermittenti. La differenza tra uomo e donna è ancora abissale.

L’Ires Cgil ha analizzato il dato della provincia di Pesaro, un report appena uscito e che è la fotografia alla fine del 2022. Le retribuzioni medie lorde annue percepite nella provincia di Pesaro Urbino sono pari a 20.853 euro al 2022 e rispetto al 2021 registrano un aumento di 662 euro, pari a +3,3%. Un dato che al 2012 si fermava a 17.883 euro. Le retribuzioni medie nella provincia sono ancora significativamente inferiori al valore medio nazionale (-1.986 euro) ma superiori al valore regionale (+574 euro).

I lavoratori dipendenti con un lavoro a tempo parziale percepiscono in media 12.284 euro lordi annui, i lavoratori stagionali 5.512 euro lordi, mentre coloro che hanno un contratto di lavoro a tempo determinato guadagnano mediamente 10.928 euro lordi annui. La retribuzione media lorda annua dei lavoratori somministrati ammonta a 9.747 euro, mentre gli intermittenti percepiscono mediamente 2.032 euro lordi.

Gender gap e lavoro giovane sono una chiave importante di lettura. Sono significative le differenze retributive tra uomini e donne: la retribuzione media lorda annua dei lavoratori ammonta a 24.410 euro, a fronte di 16.158 euro riferiti alle lavoratrici. Queste ultime, dunque, percepiscono mediamente 8.252 euro lordi in meno rispetto agli uomini, pari a -33,8%. Tra le qualifiche, la retribuzione media lorda annua degli operai è di 17.810 euro. Gli impiegati guadagnano mediamente 24.736 euro lordi annui. Valori che si alzano notevolmente per i quadri (64.794 euro lordi annui) e per i dirigenti (144.252 euro).

I lavoratori della provincia di Pesaro Urbino con meno di 30 anni percepiscono una retribuzione media lorda annua di 12.897 euro, circa 8mila euro lordi in meno rispetto alla media della totalità dei lavoratori dipendenti privati.

Il segretario Cgil Roberto Rossini analizza i numeri. «È vero che crescono le retribuzioni, sono stati rinnovati i contratti collettivi, ma rispetto alla media nazionale la paga è bassa. Abbiamo micro aziende che offrono meno e crescono precariato, lavoro part time e intermittente. Le donne percepiscono una paga molto inferiore e l’inflazione cresce facendo abbassare il potere d’acquisto. Cresce il numero dei contratti, anche per il rimbalzo post covid, ma la qualità dei contratti è poco incoraggiante. E se pensiamo alle pensioni per le nuove generazioni ci rendiamo conto che ci troveremo sempre più in una emergenza sociale».

Attraverso un’analisi più approfondita si evince che l’aumento maggiore dei lavoratori rispetto al 2021 si è registrato in quei settori dove le retribuzioni sono generalmente più basse. Si fa in particolare riferimento alle costruzioni, alle attività artistiche, sportive e di intrattenimento e al settore del turismo e della ristorazione. Ciò mette in evidenza che una buona parte della crescita ha avuto luogo in settori caratterizzati da livelli retributivi inferiori alla media.

Nella provincia di Pesaro Urbino risultano occupati 115.680 dipendenti privati, quasi 4mila in più rispetto al 2021 (+3,5%). Nei confronti del 2012 si osserva una differenza di +15mila lavoratori e lavoratrici (+14,9%).

Analizzando le tipologie contrattuali emerge che i lavoratori con un rapporto di lavoro part time sono 37mila (32,4%). Questi aumentano sia rispetto al 2021 (+3,5%) che, soprattutto, al 2012 (+24,9%). I lavoratori con contratto a termine sono circa 27mila, pari al 23,9% dei lavoratori complessivi. Anche loro osservano una crescita tanto dall’anno precedente (+1,2%) quanto, in particolare, dal 2012 (+31,4%). I lavoratori a tempo indeterminato sono 83mila (71,7%) e rispetto al 2021 rilevano un incremento più accentuato (+3,7%) rispetto a quelli a tempo determinato. In dieci anni registrano +7,2%.

I lavoratori somministrati, che per la quasi totalità hanno un rapporto di lavoro a termine, sono oltre 6mila e rappresentano il 5,7% del complesso dei lavoratori dipendenti privati. Dal 2012 sono stati oggetto di una crescita superiore alle 3mila unità (+144,4%). Gli intermittenti sono 10mila (8,9% dei lavoratori dipendenti privati) e in un anno crescono del 13,6%.

Gli over 50 sono la fascia più rappresentata (31,2%) e in termini assoluti hanno visto un incremento di oltre 14mila unità dal 2012 (+69,1%), dettato anche da un progressivo invecchiamento della popolazione e dall’aumento dell’età pensionabile. Gli under 30 sono 24mila e costituiscono il 21,2% del totale. La classe 30-39 è l’unica che in dieci anni ha visto una tendenza inversa alquanto accentuata (- 14,7%).

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