Attualità

«Siate donne. Tutto qua»

Rosita Fattore, giornalista professionista, si racconta a cuore aperto: il suo essere donna, l'essere stata discriminata, i suoi esempi, la caparbietà e la volontà per perseguire i suoi obiettivi, anche lasciando la terra natìa

Rosita Fattore

FABRIANO – «A 35 anni ancora sono iscritta all’Università perché la cosa che mi è sempre riuscita bene con il minimo sforzo è stato studiare. Se solo mi avessero pagato! Quindi tra una carriera di Ateneo e l’altra, e dopo il sacro battesimo a L’Azione, ho scribacchiato un decennio per il Corriere Adriatico, ho fatto l’ufficio stampa in Comune (non a Fabriano), siamo stati insieme a Giorgio Massari, Filippo Ubaldi e Michele Porcarelli degli startupper precoci, inconsapevoli e inconcludenti, ho martellato per qualche mese le orecchie dei radioascoltatori fabrianesi e poi ho lasciato la terra natia. Da allora faccio videogiornalismo e qualcuno dice che mi occupo di data journalism. Cosa sia quest’ultimo però, lo sto ancora capendo».

Signore e signori, Rosita Fattore, per concludere il ciclo di interviste di CentroPagina per la festa delle donne.

Rosita, ci dica le tre donne che sono un esempio per lei?
«Dire di avere delle donne come esempio significa costantemente confrontarsi con quei modelli e correggere la propria rotta, per seguirne il più possibile la traccia segnata. Ecco, diciamo che da quel punto di vista, non ho affatto costanza. Ma se penso a delle donne che mi emozionano, il cui operato, passato o presente che sia, mi lascia senza fiato, posso trovare qualche nome. Alda Merini, per la sua poesia onirica e onesta nello stesso momento, per la sua storia di donna malata e allo stesso tempo estremamente lucida e per la sua fragilità ostentata ma combattuta. Simone de Beauvoire, per “Il secondo sesso”, manuale di pensiero che non avrò mai letto abbastanza. E poi mia mamma. Nei primi 18 mesi della mia vita, ero già entusiasta dell’esistenza e quindi dormivo un paio d’ore ogni 24. Lei non ha mai ascoltato i consigli, farfugliati nel sonno da mio padre e mia sorella, di buttarmi dal terrazzo e ha passato notti intere a giocare con me. Poi alle 5 di mattina mi metteva nel letto accanto a papà e andava ad aprire il bar Ideale in piazza. Ho sempre sperato di avere, in qualche filamento del mio dna, questa sua tenacia».

L’essere donna a Fabriano e in Italia, è facile o complicato?
«Non so, mi chiedo: “Ma essere uomo come è?”. Perché uno magari capisce come sia essere donna se ha un metro di paragone e invece ognuno vive solo nella propria discreta vita. A Fabriano ho sempre costruito recinti con mio padre, imbiancato case con mia sorella, ho guidato in lungo e in largo. In Italia ho traslocato di città in città da sola, mi appendo i chiodi per i quadri da sola e anche la portiera dell’auto me la apro da sola. Sí, credo banalizzando, che essere donna equivalga ad essere uomo. Ciò che fa la differenza, a mio parere, è come ti vedi e come vuoi ed esigi che ti vedano».

Rosita a lavoro nella redazione di Repubblica a Roma

In che occasione si è sentita discriminata nel suo ambito?
«Bar Centrale di Fabriano, ormai qualche anno fa. C’era ancora Lamberto dietro al bancone (per chi non lo sapesse, Lamberto è stato uno dei baristi che per più tempo ha popolato la piazza centrale della città). Ero a prendermi un caffè con un politico. Non ne faccio il nome perché davvero non ricordo chi fosse. Eravamo appena usciti da una conferenza stampa. Avevo fatto un paio di domande che ora non mi sovvengono. Fatto sta che lui non aveva molto apprezzato e in uno slancio di onestà mi guarda e mi dice: “Certo che sei un po’ una viperetta”. Sorrido. Non rispondo. Penso. E mi chiedo: “Ma se fossi stato un giornalista uomo sarei stato un viperetto? No. Sarei stato un figo”».

Esiste la solidarietà fra le donne? È vero che il peggior nemico delle donne sono le donne?
«Vi dico qual è la mia esperienza, che assolutamente non voglio assumere come verità generalizzata. Nella mia esistenza sí, ho incontrato donne estremamente competitive. Spesso rissose e di sovente molto, molto pettegole. Non so, ci deve essere qualcosa di primordiale in questo senso di sfida, qualcosa che richiama il concetto evolutivo di Darwin. Detto questo però ho anche incontrato donne iperproduttive, multitasking ed estremamente efficienti. Donne che reggono sulle spalle oneri immensi. E qui non voglio fare banali paragoni con gli uomini. Ma voglio aggiungere un’altra cosa. È vero che spesso le donne competono tra loro, ma allo stesso modo è vero che un’amicizia tra donne è qualcosa di davvero profondo e indissolubile. Superate le diffidenze iniziali e raggiunta la reciproca accettazione, tra due amiche donne (qui concedetemi una generalizzazione) c’è un’intesa, una complicità e un sostegno profondo. Una comprensione e un’empatia che non ho mai visto in due miei amici uomini».

Un messaggio alle donne del futuro?
«Siate donne. Tutto qua».

Ti potrebbero interessare