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Rave party, esperti divisi sulla stretta del governo: «Esorcizzare non aiuta»

Fa discutere la norma che introduce il nuovo reato di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico per l'incolumità o la salute pubblica

ANCONA – Fa discutere la stretta del governo sui rave party dopo il caso di Modena. Al centro della discussione c’è il nuovo reato di invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico per l’incolumità o la salute pubblica (434-bis del Codice penale).

Cosa prevede la norma

Il reato è punito con una reclusione da 3 a 6 anni e con una multa da 1.000 a 10.000 euro, che si applica quando più di 50 persone invadono terreni o edifici, pubblici o privati, da cui può derivare un pericolo per l’ordine pubblico. Secondo la nuova legge è previsto un rischio di condanna, anche se con pena diminuita, anche per chi partecipa solamente all’evento, la confisca delle cose utilizzate per l’occupazione e la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per gli indiziati dell’invasione di terreni ed edifici per raduni pericolosi.

La nuova norma è stata introdotta dal decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri che prevede anche misure in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia.

Il parere degli esperti

Luca Russo
Luca Russo, analista forense e CTU Procura della Repubblica

Si dice «d’accordo in parte» con le nuove disposizioni l’analista forense Luca Russo, Ctu per diverse procure italiane: «Da un lato penalizzare la socializzazione o feste tra persone lo ritengo forse estremo, d’altro canto purtroppo questi eventi si svolgono in luoghi non sicuri e senza alcun supporto di sicurezza. Assolutamente non condanno la possibilità di socializzare e far festa, ma dobbiamo riflettere sul fatto che i Rave party non sono eventi organizzati per trascorrere in maniera sana qualche ora insieme, per il semplice desiderio di comunicare o socializzare, è invece una calca di persone perlopiù giovani che si sballano con droghe e alcool, consumano sesso senza alcun pudore e regole».

Secondo Russo, i giovani «’legalizzano’ autonomamente ogni tipo di pratica, altrimenti vietata in qualunque altra condizione o evento, mettendo a rischio tutti i partecipanti. I luoghi che vengono scelti sono occupati abusivamente, senza preoccuparsi delle loro condizioni strutturali e quindi di sicurezza. Il Rave party è invece un forte segnale di indipendenza, libertà e ribellione. Le condizioni igieniche sono pressoché completamente inesistenti. Ricordiamo il rave party di Viterbo, nella Salento, a Campobasso dove sono morti giovani a seguito di uso di droghe e dove l’intervento immediato di un qualche supporto sanitario avrebbe, forse, evitato la tragedia».

«Orienterei piuttosto ad una regolamentazione di tali eventi – dice – facendo sì che vengano in qualche modo tutelati con controlli e supporti idonei di sicurezza (personale medico, vigili del fuoco, ecc.) certo, tutto questo comporterebbe un costo, ma sicuramente tutelerebbe i presenti limitando i danni. Esorcizzare sicuramente non aiuta, liberalizzare abbiamo dato modo negli anni di dimostrare che l’essere umano non ha saputo spesso gestire il proprio libero arbitrio, purtroppo. L’equilibrio è alla base di ogni scelta».

Francesca Mancia, psicoanalista Spi (Società Psicoanalitica Italiana) e psicoterapeuta infantile Tavistock Centro Ricerche di Psicoanalisi di Gruppo di Ancona

Critica la dottoressa Francesca Mancia, psicoanalista Spi (Società Psicoanalitica Italiana) e psicoterapeuta infantile Tavistock Centro Ricerche di Psicoanalisi di Gruppo di Ancona, che pone l’accento sull’importanza della prevenzione più che sulla repressione.

«La pena fino a sei anni – osserva – consente di disporre le intercettazioni per prevenire i rave, che vengono quasi sempre organizzati con un passaparola in chat e social “coperti”. Ciò consentirà l’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per gli indiziati. Oltre alle tradizionali intercettazioni telefoniche, sono stati presi in considerazione anche i messaggi via WhatsApp e le videochiamate».

«Trovo ottimo deterrente – prosegue – il fatto che in futuro vi sarà il rischio di vedersi sottrarre camion, furgoni e costosi sound system. Tuttavia riflettiamo, i giovani hanno bisogno di risposte più articolate, di certo il contenimento delle istanze trasgressive dovrà essere pensato ma questa norma potrà essere applicata anche a manifestazioni che possono andare da mobilitazioni in Università, scuole, per questioni ambientali» dice «nella definizione di ‘terreni o edifici altrui, pubblici o privati’ potrebbe infatti ricadere significativamente altro: i capannoni o i campi in cui vengono organizzati i rave, ma anche, i luoghi di lavoro, le piazze. Il fatto che ieri sia giunta dal Viminale la precisazione sulla nuova norma “che non lede in alcun modo il diritto di espressione e la libertà di manifestazione sanciti dalla Costituzione e difesi dalle istituzioni” non rassicura se pensiamo a regimi totalitari. Consiglio prudenza, di rivedere l’ambito di norma e chiarirne bene la specificità se vogliamo fare un’azione efficace che serva nel merito ma forse non nel metodo».

I primi rave party si tennero alla fine degli anni ’50 in Inghilterra spiega la dottoressa Mancia, da qui si diffusero al resto dell’Europa nel decennio successivo, ma la maggior diffusione ci fu negli anni duemila. Ad oggi «gli unici Paesi ad avere normative che li vietano espressamente sono la Francia e la Gran Bretagna. Possiamo far meglio in Italia» spiega, facendo notare che in Europa fin dal 2014 esistono progetti «che andrebbero incrementati in Italia: ad esempio l’Ufficio Federale della Sanità Pubblica svizzera, incaricato dal Consiglio Federale, ha elaborato una Strategia nazionale dipendenze, per permettere a tutti gli attori coinvolti in questo ambito, di avere un quadro complessivo di riferimento, per sviluppare nuove soluzioni e interventi. Questi interventi in genere si dividono in assi d’intervento, comprendenti di strategie ed obiettivi».

Per quanto riguarda la riduzione del rischio negli ambienti ricreativi «si dispone di progetti attraverso i quali si opera con strategie di prevenzione e riduzione dei rischi legati al consumo di sostanze psicoattive, direttamente nei luoghi del divertimento notturno anche non autorizzati. Il progetto sono rivolti a giovani e giovani adulti che frequentano queste scene sempre più inquietanti. All’interno del progetto lavorano operatori professionali formati per riconoscere e definire gli obiettivi, le strategie e gli strumenti che vengono utilizzati nei contesti notturni. Si tratta di investire sul socio-sanitario per informare i consumatori; collaborare con i diversi attori coinvolti, sensibilizzando; gestire le situazioni d’emergenza e riconoscere tempestivamente i comportamenti problematici o di dipendenza. Sono note le strategie da utilizzare come: peer support, giovani volontari formati e seguiti dagli operatori; distribuzione di materiale gratuito e allestimento attrattivo di stand e zona chill-out. Mi pongo una sola domanda: abbiamo interesse ad investire in salute mentale? Sociale? Sanitaria? Abbiamo la prospettiva di educare al vivere civile e prevenire o vogliamo ormai solo reprimere travolti come ci sentiamo dai problemi?».

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