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Mamma per un’ora, la figlia ha il destino segnato ma lei decide di farla nascere: «Non c’è scelta diversa da fare»

La coppia di Porto Recanati decide di portare a termine la gravidanza lo stesso, nonostante una diagnosi infausta: la bambina era affetta da una malattia rara e condannata a morte certa. Maria Paola Vecchione: «Non so cosa darei per rivivere quei momenti»

Maria Paola Vecchione

PORTO RECANATI – Al feto viene diagnosticata una malattia rara, ma lei sceglie lo stesso di mettere al mondo la sua bambina. È un inno alla vita la decisione coraggiosa di Maria Paola Vecchione, la mamma di Porto Recanati che ha deciso, insieme al marito Marino Bono, di portare a termine la sua gravidanza nonostante avesse ricevuto una diagnosi infausta. L’ecografia eseguita al centro di diagnosi prenatale di secondo livello di Loreto, aveva infatti rivelato che il feto era affetto da una malattia rara, la displasia tanatofora, una patologia che impedisce alle ossa del torace di crescere condannando alla morte certa per l’impossibilità dei polmoni di espandersi.

La coppia aveva accolto con grande gioia la notizia della gravidanza, avendo già perso altri due bambini nei primi mesi di gestazione. Un vero miracolo per entrambi, dal momento che Aurora, è questo il nome che hanno dato alla loro piccola, è stata concepita nel maggio scorso durante un viaggio della coppia a Medjugorje, il paesino della Bosnia Erzegovina meta di pellegrinaggi dei devoti alla Madonna che secondo la tradizione sarebbe apparsa sulla collina del Podboro. Purtroppo però la piccola Aurora, nata lo scorso 14 gennaio è morta dopo una sola ora di vita. Un’ora però, che per Maria Paola e Marino è stato un dono stupendo, perché hanno potuto stringere tra le braccia la loro bambina.

La sua è stata una scelta molto coraggiosa che forse non tutte le donne avrebbero fatto. Quali sono le ragioni che l’hanno spinta ad andare avanti nella gravidanza? 
«Ritengo di non aver fatto nulla di eccezionale, ho accompagnato mia figlia Aurora fin dove ho potuto come un qualsiasi genitore avrebbe fatto per il suo bambino. Anche se non la vedevo sapevo che lei c’era e che in pancia stava benissimo. Sentivo la sua presenza con tutti i suoi calcetti e con la sua testolina che si muoveva proprio sotto al mio cuore, Aurora è rimasta in posizione podalica, stretta a me in un grande abbraccio fino alla nascita».
Che sentimenti ha provato nel ricevere la mimosa d’oro?
«Appena Monsignor Fabio Dal Cin arcivescovo di Loreto mi ha consegnato questo riconoscimento ho provato un po’ di tristezza perché pensavo che avrei preferito avere la mia bambina fra le braccia al posto di una mimosa d’oro. Però sono stata contenta che la storia di Aurora fosse stata valorizzata in quanto rappresenta un’alternativa possibile alla comune scelta egoistica dell’aborto. Mio marito Marino, in occasione del funerale di nostra figlia, ha detto una frase che ha commosso tutti: “Aurora in così poco tempo hai fatto così tanto, hai smosso le coscienze e sciolto i cuori” ed è questo il senso della nostra testimonianza».
Quindi rifarebbe la scelta…
«Non c’è scelta diversa da quella che ho fatto perché ritengo che l’apertura alla vita sia l’unica via da percorrere, indipendentemente dalla sua durata o dalla sua forma. Avendo fra le braccia Aurora ho sperimentato una gioia e una pace che non avrei di certo ricordato se fossi ricorsa alla “scorciatoia “ dell’aborto».
Che emozione hai provato nello stringere tua figlia tra le braccia, anche se solo per un’ora?
«L’emozione e l’amore che ho provato non si possono descrivere con le parole. Quando l’ho vista per la prima volta mi sono completamente persa nei suoi occhi azzurri che mi hanno fissata per pochi istanti. L’ho accarezzata e baciata continuamente mentre l’avevo fra le braccia. Ammiravo le sue guance paffutelle e il suo visino tanto simile al papà. Non so cosa darei per rivivere quei momenti».

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