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Pesaro, cresce l’occupazione ma i contratti sono precari. Cgil: «Rischio povertà»

Il sindacato ha elaborato i dati Inps. Il segretario Rossini: «La provincia "bella", della piena occupazione, è stata spazzata via dalla crisi, le retribuzioni sono in calo e i giovani sono i più esposti»

PESARO – Cresce l’occupazione in provincia di Pesaro, ma i salari sono sempre più bassi e si allarga la fascia di povertà. E’ ciò che emerge dai dati dell’Inps elaborati da Ires Cgil Marche, e relativi ai lavoratori dipendenti privati (esclusi i lavoratori agricoli) della provincia di Pesaro e Urbino.

Nel 2018 gli occupati sono 106 mila, con un incremento di 4 mila lavoratori, pari a +3,9% rispetto all’anno precedente. Si tratta però di una crescita che non permette ancora di compensare la notevole perdita di posti di lavoro registrata dall’inizio della crisi. Rispetto al 2008 infatti, i lavoratori dipendenti nella provincia sono diminuiti di mille unità.

Osservando le tipologie contrattuali emerge che 37 mila lavoratori (il 34,7%, cioè uno su tre), hanno un rapporto di lavoro part time. Questi lavoratori sono cresciuti in modo significativo rispetto al 2008 (8 mila in più), quando rappresentavano soltanto il 26,7% del totale dei dipendenti privati.

I lavoratori con contratto di lavoro a termine sono 28 mila, pari al 26,6% dei lavoratori complessivi (25,7% nel 2017 e 20,1% nel 2008). Anche i lavoratori precari sono notevolmente cresciuti: 2 mila unità in più, pari a +7,6% rispetto all’anno precedente e quasi 7 mila in più in dieci anni (+30,9%).
I lavoratori a tempo indeterminato sono 73 mila e aumentano del 2,5% rispetto al 2017; questi sono addirittura 10 mila in meno rispetto al 2008 (-11,7%).

È molto significativo il dato sui lavoratori dipendenti con contratti di somministrazione e contratti intermittenti. I somministrati, che per la quasi totalità hanno un rapporto di lavoro a tempo determinato, nella provincia sono ormai 6 mila: sono cresciuti di 579 unità in un anno (+10,2%) e costituiscono il 5,9% del complesso dei lavoratori dipendenti.

Rilevante anche il numero dei lavoratori intermittenti: questi sono 9 mila, 1.560 in più in un anno (+19,9%), e rappresentano l’8,9% dei lavoratori dipendenti complessivi.
I lavoratori dipendenti con queste due tipologie contrattuali sono aumentati, tra il 2017 e il 2018, di oltre 2 mila unità, rappresentando il 53,8% della variazione del numero degli occupati complessivi nell’anno.

Coloro che hanno un contratto a tempo pieno e indeterminato sono 51 mila, pari al 48,5% (è il dato più basso tra le province della regione) del complesso dei lavoratori dipendenti (erano il 49,1% nel 2017 e il 59,8% nel 2008). Questi sono cresciuti del 2,6% rispetto al 2017, ma sono quasi 13 mila in meno rispetto a 10 anni fa (-19,8%).

I dipendenti fino a 29 anni sono quasi 22 mila (20,4% del totale dei lavoratori) e sono prevalentemente precari e con orario parziale. Gli occupati under 30 sono cresciuti di mille unità dal 2017, ma nel 2008 erano 7 mila in più, segno che i giovani hanno pagato il prezzo più alto della crisi.

Se il dato medio della retribuzione annua lorda riferito alla totalità dei lavoratoti dipendenti della provincia è pari a 19.710 euro, i dipendenti con un lavoro a tempo parziale percepiscono mediamente retribuzioni di 11.072 euro lordi annui, mentre quelli che hanno un contratto di lavoro a tempo determinato percepiscono mediamente 10.495 euro lordi annui, alla soglia praticamente della povertà.

Le retribuzioni medie lorde dei lavoratori somministrati sono di 8.746 euro, mentre quelle dei lavoratori intermittenti sono di 1.681 euro lordi annui.
I lavoratori con contratto a tempo pieno e indeterminato ricevono una retribuzione lorda annua di 28.515 euro.

Per il segretario generale della Cgil Pesaro Urbino Roberto Rossini, dalla lettura dei dati elaborati dall’Ires, emerge un quadro estremamente preoccupante sulle condizione dei lavoratori con livelli salariali troppo bassi e notevoli disuguaglianze: di genere (le donne percepiscono a parità di mansione salari più bassi) e anche anagrafiche.

«Da queste stime salta agli occhi la condizione dei giovani under 30 – evidenzia Rossini – che hanno una retribuzione lorda annua di 12.026 euro. Sono quasi 8 mila euro in meno rispetto all’importo medio dei lavoratori dipendenti privati nel complesso. E rispetto al 2008, la retribuzione lorda media è rimasta di fatto invariata (+0,5%); il dato risulta molto diverso da quello riferito alla totalità dei lavoratori, per i quali la retribuzione è aumentata dell’8,2%. Inoltre, i giovani con un lavoro a tempo parziale guadagnano mediamente 7.885 euro lordi annui, mentre quelli che hanno un contratto di lavoro a tempo percepiscono in media 8.259 euro lordi annui. I giovani sono i più esposti a lavori precari e discontinui ma anche a part time involontari.

La provincia bella, quella della “piena occupazione” è solo un ricordo, spazzato via dalla lunga crisi e da politiche per il lavoro errate. Il rischio povertà è reale e necessita di concrete e adeguate politiche di sviluppo. Le conseguenze delle politiche mancate le paghiamo tutti ma i giovani ancor di più perché con le attuali normative non vedranno garantito un reddito da pensione dignitoso».

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