Attualità

Per un immaginario libero dagli stereotipi

Settenove è una casa editrice di Cagli che opera per la prevenzione della violenza di genere. La direttrice Martinelli: «L'Italia sta facendo molto poco. I libri non discriminatori costruiscono un modello di pensiero in grado di contrastare quegli elementi culturali che oggi impediscono il cambiamento»

Monica Martinelli, direttrice editoriale di Settenove

Settenove è il primo progetto editoriale italiano, nato nel 2013, interamente dedicato alla prevenzione della discriminazione e della violenza di genere. Ha sede a Cagli (PU) e affronta il tema da punti di vista differenti e attraverso tutti i generi letterari, con un’attenzione particolare alla narrativa per l’infanzia e l’adolescenza, italiana e internazionale, che contribuisce allo sviluppo di un immaginario libero da stereotipi. La parola alla direttrice editoriale Monica Martinelli.

Come è nato il progetto editoriale?
«Il progetto è nato da un interesse cresciuto nel tempo sul fenomeno della violenza di genere e dalla consapevolezza che sia prima di tutto una questione culturale. Di fronte ad atti eclatanti, tutti e tutte sono pronti a schierarsi accanto alle donne vittime di violenza, ma ci sono elementi culturali nella nostra società che, in alcuni casi, giustificano la prevaricazione e in qualche modo rendono accettabile la discriminazione, perché una certa gerarchia tra i ruoli è ritenuta “naturale”. Non vi è nulla di naturale, invece, ed è importante che le persone abbiano degli strumenti cognitivi, e non solo empirici per guardare il rapporto tra i generi senza i filtri degli stereotipi».

Perché il nome “Settenove”?
«Settenove celebra il 1979, un anno importante durante il quale le Nazioni Unite hanno adottato la CEDAW, la Convenzione Onu per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne, che per la prima volta ha individuato nello stereotipo di genere il seme della violenza».

ll logo della casa editrice è formato da tre parentesi. Qual è il significato?
«Le parentesi racchiudono sistemi complessi, rigidi, fissi. Settenove cerca di proporre immaginari alternativi, o reali, esistenti, senza filtri, quindi il nome si pone sempre al di fuori di esse».

In primavera inizia il vostro tour per le fiere del libro. Quali gli appuntamenti?
«Saremo ad aprile alla Fiera del Libro per ragazzi di Bologna e al Tempo di Libri a Milano, mentre a maggio al Salone del libro di Torino».

I libri possono servire a sconfiggere la violenza? La diffusione di una più attenta cultura dell’infanzia può contribuire a migliorare il ruolo della donna nella società?
«Sono gli uomini a poter sconfiggere la violenza (propria) e le donne a poter capire che certi atteggiamenti, comportamenti, visioni del mondo sono inaccettabili. Ma i libri e la cultura in generale possono contribuire in modo decisivo a creare un immaginario non discriminatorio, dove tutto quello che è lesivo della dignità personale viene quantomeno individuato, notato, segnalato, senza che passi per scontato. Se pensiamo anche ai sussidiari scolastici, notiamo quanta importanza abbiano nella formazione dei bambini e delle bambine: tutto quello che vi troviamo dentro diventa legge, incluse le immagini discriminatorie, non paritarie. Molti testi purtroppo continuano a portare avanti un modello di uomini e donne stereotipate, guidato da una gerarchia tra loro che vede gli uomini in una posizione di privilegio. Testi e immagini non discriminatori paritari nei libri per l’infanzia costruiscono negli adulti e nelle adulte di domani un modello di pensiero in grado di contrastare quegli elementi culturali che oggi impediscono il cambiamento».

Come si sente davanti a tanta violenza sulle donne che sembra non trovare fine?
«Arrabbiata, per quello che l’Italia non fa. È del 2/03/2017 la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha condannato l’Italia per non aver approntato le giuste strategie per difendere una donna dalla violenza che il marito ha perpetrato su di lei e sul figlio, che è stato ucciso. Ciò significa che delle modalità di contrasto esistono, sono conosciute e applicate in altri paesi nel mondo, ma l’Italia sta facendo molto poco a riguardo».

L’8 marzo è la festa della donna. Che significato ha oggi, secondo lei, questa ricorrenza?
«È la Giornata Mondiale della donna, una ricorrenza importante, se compresa nel suo giusto significato e utile per porre l’accento su temi che in altri momenti vengono sottovalutati, ma non può continuare ad essere uno “spot” primaverile. Tutta la società, la cultura e la vita quotidiana, nell’intero arco dell’anno, dovrebbero essere permeate da una “prospettiva di genere”, uno sguardo nuovo e rispettoso dei diritti umani e della dignità di tutti e tutte».

Cosa bisogna fare, oggi, per affermare i diritti delle donne e per sviluppare una cultura della non violenza che valorizzi il loro ruolo? Bastano le attuali leggi per prevenire la violenza sulle donne?
«Le leggi da sole non bastano. Bisogna partire dalle persone e fare in modo che attorno agli atti di violenza, discriminazione e prevaricazione ci sia innanzitutto un generale disvalore sociale, ma questo purtroppo ancora non accade».

Cosa pensa delle quote rosa in politica o nel mondo del lavoro?
«È un tema complesso che non può essere esaurito in poche righe. Posso dire che non mi piace l’idea di dover far parte di una quota a parte nel mondo del lavoro, come se le donne fossero una categoria minoritaria e da proteggere della società. Siamo più della metà del genere umano, non una categoria. È la prospettiva a dover essere diversa: deve esserci rispetto per le caratteristiche individuali e il merito di ciascuno e ciascuna, al di là del genere. Tuttavia, dove questa prospettiva non c’è, le quote rosa sono necessarie a riequilibrare una situazione patologica, nell’attesa della sua normalizzazione. Quindi non mi piacciono, ma servono».

L’elezione di Trump non è incoraggiante. Possiamo dire addio alle politiche di genere?
«Le donne americane non lo permetteranno».

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