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Moro-Grena, a San Rocco per parlare di giustizia riparativa

Entrambe hanno raccontato la loro esperienza fatti d'incontri privati ma soprattutto ascolto. Dopo anni ed anni di "lavoro", la figlia dell'ex Presidente della Dc Aldo Moro e l'ex appartenente al gruppo armato "Prima Linea" siedono allo stesso tavolo e riescono a guardarsi negli occhi.

Maria Grazia Grena e Agnese Moro

SENIGALLIA- Agnese Moro e Maria Grazia Grena si sono incontrate all’Auditorium San Rocco, dopo un percorso di giustizia riparativa, per raccontare la loro esperienza. L’incontro “Oltre il carcere, la giustizia che ripara” è stato organizzato dall’associazione “Antigone Marche”. Insieme a loro c’era anche Padre Guido Bretagna, mediatore degli incontri di giustizia riparativa presso il centro di Milano. Ed è proprio attraverso lui ed i suoi collaboratori che il percorso di giustizia riparativa tra la figlia dell’ex Presidente della Dc Aldo Moro e l’ex appartenente al gruppo armato “Prima Linea” è stato possibile.

Dopo anni ed anni di “lavoro”, ora Agnese Moro e Maria Grazia Grena siedono allo stesso tavolo e riescono a guardarsi negli occhi. «Perché quando una persona che ha subito un gravissimo torto com’è capitato a me, può avere desiderio d’incontrare coloro che questo torto glielo hanno fatto – spiega Agnese Moro – Questo è quello che voglio cercare di spiegare questa sera. Quando accadono certe cose il passato torna ogni giorno. Tuo padre rapito, trattato male, abbandonato da tutti e poi ucciso. E tutto avviene oggi anche se la tua vita va avanti. Ma sei sempre bloccato tra il 16 marzo e il 9 maggio del 1978 e sei sempre lì. Se vivi il passato piuttosto che il presente significa che i morti sono più importanti che i vivi».

La giustizia riparativa è un percorso volontario, chi lo intraprende si preoccupa di riparare il dolore inflitto dalla commissione del crimine. È un paradigma che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo. «La giustizia riparativa è l’importanza di sapere ascoltare. È un sistema per riflettere, incontrarsi e provare a superare ed affrontare dei conflitti – spiega Padre Guido Bretagna – Significa mettere in condivisione parte della propria vita privata». Una via che, ispirandosi all’esempio del Sud Africa post-apartheid, fa propria la lezione della giustizia riparativa, nella certezza che il fare giustizia non possa, e non debba, risolversi solamente nell’applicazione di una pena.

Un cammino fatto d’incontri privati e di convivenza per riscoprirsi insieme, per capire e per trovare una risposta: «Quando vedo le persone a cui viene ucciso qualcuno che puntano sulla durezza delle condanne, pensando che possano migliorare qualcosa, so che non accadrà. Vedere soffrire altre persone non ti ripaga di quello che hai perso» – prosegue la Moro. Il percorso di giustizia riparativa è un percorso che permette di lasciare l’odio ed il rancore: «Quando vai a vedere gli altri, sono sempre diversi da come te li asettavi. Nella mia mente loro erano dei mostri e lo sono stati. Ma nell’incontrarli ho capito che prima c’erano delle persone. Vedi un volto vedi passare delle emozioni – conclude Agnese Moro – Io ho conosciuto delle persone disarmate. Avrei potuto fargli e dirgli qualsiasi cosa, mollargli due schiaffi, loro lo avrebbero accettato. Nessuno ha mai dato una parola di giustificazione, ma spiegazioni si. E le risposte sono difficili da ascoltare».

Una scelta difficile anche per chi, ha vestito la parte del “carnefice” e, una volta scontata la pena è riuscito a ricostruirsi una vita. Proprio come Maria Grazia Grena, uscita dal carcere nel 1990. Per entrare a fare parte del gruppo “Prima Linea” aveva lasciato anche il marito che poi ha ritrovato: «Non mi ero mai posta il problema della vittima, ma quello della società – ha spiegato la Grena – Con la giustizia riparativa mi sono resa conto che le vittime le avevo anch’io e davanti a me. Noi continueremo a rimanere noi, perché quello che abbiamo fatto non si potrà mai cancellare. Gli incontri ci hanno cambiati, raccontare quello che si è stati è utile per guardare alla nostra vita, al nostro futuro in maniera diversa».

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