Attualità

Il medico di Lampedusa ad Ancona: «I profughi non portano malattie e non sono terroristi. C’è molta mala informazione»

Pietro Bartolo ha parlato dal Ridotto del teatro delle Muse raccontando tante storie tristi di chi cerca di fuggire dalla guerra. «Ora gli sbarchi sono fermi. Arrivano solo i tunisini e quelli non fuggono dai conflitti. Sono persone che delinquono e vanno rispedite a casa loro»

Il pubblico presente al ridotto delle Muse mentre ascolta la testomonianza del medico di Lampedusa

ANCONA – «Questi qui sopra viaggiavano in prima classe, avevamo pagato 1.500 dollari, questi più sotto erano di seconda classe e avevano pagato mille dollari. Poi sottocoperta c’erano tutti gli altri, la terza classe, avevano pagato 800 dollari. In quel barcone erano in 850, non finivano mai».

Ancona rivive la strage degli immigrati del 3 ottobre 2013, quando a largo della costa di Lampedusa affondò il più grande carico umano dei barconi della speranza che salpano dalla Libia. Ci furono 368 morti. A raccontare quella e altre terribili realtà legate ai soccorsi del mare c’è il medico di Lampedusa, Pietro Bartolo, lo stesso che ha ispirato il film “Fuocoammare” vincitore al festival di Berlino, ospite questa mattina al Ridotto del teatro delle Muse dove è stato invitato dal Rotary Club Ancona. Mostrando la foto del barcone Bartolo, presentato dall’assessore ai servizi Sociali e responsabile dell’immigrazione per l’Anci Emma Capogrossi, ha raccontato quella e le altre esperienze che lo vedono in prima linea nella sua isola. La sala si è commossa.

Dal 1991 ad oggi il medico di Lampedusa ha visitato 300mila migranti. «Io non lo chiamo un problema quello dell’immigrazione – ha esordito Bartolo – è un fenomeno e da quel 3 ottobre abbiamo sentito il peso di questa immane tragedia. Ho fatto 368 ispezioni cadaveriche dopo quel fatto, ci ho impiegato 15 giorni. Aprendo quei sacchi molti erano bambini. Erano unti di gasolio, anche per questo è stato difficile soccorrerli». Nell’orrore anche un miracolo. «In un sacco chiuso – ha raccontato Bartolo – c’era una ragazza nigeriana data per morta. Le ho sentito il polso e aveva un flebile battito. La feci portare subito in ospedale. È stata intubata e rianimata. Dopo un mese fu fuori pericolo e raggiunse il nord Europa. L’anno scorso l’ho rivista, mi sono commosso».

Bartolo ha spiegato come oggi la situazione a Lampedusa vede fermi gli sbarchi degli immigrati «Ormai da un mese e mezzo è così – ha sottolineato il medico – per un accordo dell’Italia con la Libia. Non arrivano profughi ma arrivano tunisini e quelli non fuggono dalla guerra. Sono persone uscite di galera per uno speciale indulto. Questo i lampedusani non lo accettano. Verso chi fugge dalla guerra c’è il massimo aiuto. Li hanno ospitati anche nelle loro case. Ma chi delinque no, devono tornare a casa loro».

Poi il racconto della malattia dei gommoni che colpisce le donne e la presenza dei lager in Libia. «Arrivano con ustioni in tutto il corpo – ha detto Bartolo – e muoiono per questo. È la reazione chimica al gasolio e acqua che finisce sul gommone dove loro sono sedute. Stanno lí perché è più sicuro e ai bordi ci stanno gli uomini. Ma si ustionano il corpo». E ancora. «In Libia ci sono i lager – ha continuato – dove i migranti attendono di imbarcarsi. Lí subiscono torture, anche quella dello scuoiamento della pelle. Chi si rifiuta di salire sui gommoni viene ucciso o ferito a colpi di arma da fuoco. Ne abbiamo soccorsi parecchi con i proiettili ancora addosso». Poi la storia di Susan, bambina nigeriana di 9 anni che ha attraversato il deserto per sbarcare a Lampedusa dopo essere finita in un lager della Libia, violentata e torturata. «È venuta da me dicendo che cercava la mamma in Europa – ha detto Bartolo – ci ho messo sei mesi per trovarla. Era in Francia, costretta a prostituirsi. La burocrazia impediva loro di ricongiungersi. La bambina aveva tentato anche il suicidio. Le cose si sono poi sbloccate. Ora mamma e figlia sono entrate in un progetto di accoglienza e la donna non si vende più per la strada. La figlia Susan è
arrivata fin qua per salvarla».

Il medico di Lampedusa ha invitato Ancona a diffondere queste storie «Perché c’è molta mala informazione – ha detto Bartolo – i profughi non portano malattie, io li visito, hanno solo la scabbia perché costretti a condizioni igieniche precarie. Non sono terroristi quelli non farebbero mai un viaggio dove rischiano la vita perché devono portare a termine un compito. Sono persone come noi che vanno aiutate perché nessun bambino deve più morire così. Sono risorse, lo dobbiamo capire».

Poi l’appello per far adottare Mustafa, 11 anni, anche lui profugo che si credeva morto ma salvato durante un naufragio. «Attende una famiglia – ha spiegato Bartolo – è in un centro per minori. Intelligentissimo, fa tanti sport ma non ha l’affetto di una casa. Non ha avuto la stessa fortuna di Favour, la bimba di nove mesi salvata sempre da un barcone affondato che volevo adottare e la cui storia ha fatto il giro del mondo». Il medico di Lampedusa ha salutato la città sottolineando come «Il Mediterraneo non è stato mai una barriera. È un ponte, ci hanno navigato tutti portando scambi e cultura».

© riproduzione riservata