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Maxi terapia intensiva a Civitanova, i dubbi di politica e sindacati: «Siamo sicuri che serva?»

Tante le perplessità sulla nuova struttura. Roberto Mancini, candidato alle regionali con la civica "Dipende da noi", e il sindacato Anaao Assomed si domandano «Perché non potenziare gli ospedali esistenti?». Ecco il loro parere

Guido Bertolaso in visita alla Fiera di Civitanova (foto del 17 aprile 2020)

CIVITANOVA – «La maxi terapia intensiva di Civitanova rischia di diventare una cattedrale nel deserto; sarebbero state apprezzate maggiormente scelte di prevenzione, accompagnamento, territorialità e trasparenza».

A parlare è Roberto Mancini, candidato alle prossime elezioni regionali con la lista civica “Dipende da noi” che, come molti altri partiti politici e istituzioni mostra tutte le sue perplessità sulla nuova struttura che si sta realizzando nella città rivierasca.

Roberto Mancini, candidato alle prossime elezioni regionali con la lista civica “Dipende da noi”

«La premessa è che la nostra presa di posizione non vuole assolutamente essere una polemica di tipo elettorale soprattutto in questo momento dato che c’è il massimo rispetto per chi, in una emergenza grave e imprevista, si trova a gestire la cosa pubblica – continua -. Lo spirito è di migliorare la qualità della risposta e la tutela della sanità come sistema. Una presa di posizione che poi ha una premessa più antica perché veniamo da anni di politiche praticate nella direzione dei tagli e della privatizzazione, soprattutto da parte di questa Giunta, in cui il pubblico delega al privato che poi assicura le grandi strutture ma a pagamento.

Penso poi allo smantellamento di molte altre strutture territoriali e di certo questa politica non innalza la qualità della nostra sanità. Oggi, il ricorso alle terapie intensive si è quasi dimezzato ed emerge con maggiore chiarezza che, senza sottovalutare gli ospedali, la battaglia al Covid-19 si può vincere principalmente sul territorio, cioè proprio lì dove nella nostra regione si sono registrate le più evidenti carenze. Carenze prodotte innanzitutto dai tagli alla spesa sanitaria operati dalle forze di governo, che negli anni hanno falcidiato, oltre a molti posti letto e presidi ospedalieri sicuramente necessari, anche personale sanitario e servizi territoriali».

«Poi c’è la questione della terapia intensiva in sé: c’era un modo di affrontare la questione diversamente? Secondo noi sì perché si potevano potenziare le strutture già esistenti senza inventare una struttura ad hoc perché anche quella poi va rifornita di personale e, al contempo, rischia di diventare, se non sarà riconvertita, una cattedrale nel deserto – spiega Mancini -. La lotta al virus non riguarda solo la terapia intensiva; si potevano eseguire più tamponi, più controlli e più test sierologici, “giocando” d’anticipo, e ci poteva essere una maggiore attenzione all’accompagnamento delle persone contagiate. Si potevano supportare maggiormente i medici di base per diagnosticare e curare precocemente la malattia evitando i ricoveri tardivi in terapia intensiva quando il quadro clinico era già pregiudicato».

«Il senso della critica è di avere un approccio che non deve continuare nella direzione della logica delle grandi strutture e della privatizzazione ma pensare a presidi sanitari ospedalieri nell’ottica della trasparenza – ha concluso Mancini -. L’aver affidato a Guido Bertolaso poi e all’Ordine dei Cavalieri di Malta il progetto rappresenta una scelta dettata da un disorientamento culturale; sarebbe stato meglio agire avendo un approccio territoriale, di trasparenza, di prevenzione e di accompagnamento».

Oriano Mercante, segretario regionale Anaao Assomed Marche

Anche Anaao Assomed Marche ha mostrato le sue perplessità sulla maxi terapia intensiva alla Fiera di Civitanova. «Siamo sicuri che serva?» la domanda di Oriano Mercante, segretario regionale dell’associazione che rappresenta 660 tra medici e dirigenti sanitari della Regione. «Perché non è stata rispettata la Delibera di Giunta Regionale 320/20 per la gestione dell’emergenza epidemiologica che ha distinto nettamente gli ospedali Covid da quelli No-Covid? Come è stato conteggiato il presunto fabbisogno di 100 posti nella nuova struttura di Civitanova? Siamo certi che riattivare sul territorio regionale strutture ospedaliere non utilizzate perché dismesse, non avrebbe costi minori di creare ex novo una struttura che, se nella realizzazione è finanziata con fondi privati, poi dovrebbe essere gestita da personale che sarebbe a carico del SSN e che oggi per altro non abbiamo in organico?».

«Nella riflessione che abbiamo affrontato abbiamo utilizzato la nostra esperienza di medici e dirigenti sanitari che ben conoscono la realtà della sanità pubblica regionale e hanno fatto i conti con l’emergenza della pandemia – ha spiegato Mercante -. Il progetto del nuovo ospedale di Civitanova con 100 posti tra terapia intensiva e sub intensiva richiederebbe una dotazione di personale h24 straordinaria e valutabile in alcune centinaia di unità tra medici, infermieri e altro personale. Dove reperiremo tale personale? E in periodi di contagio zero come quello previsto per l’estate, dovremmo lasciare la struttura vuota e il personale a braccia conserte?».

Ma le domande non finiscono qui. «Vi sono motivazioni politico-economico e non tecniche che hanno orientato la scelta di realizzare questa struttura e perché non è stato replicato ai legittimi quesiti sulla modalità di determinazione del fabbisogno posti da alcuni qualificati operatori sanitari? Noi non facciamo politica e con queste considerazioni intendiamo portare un contributo professionale al dibattito basato su considerazioni molto pratiche. Nelle Marche si è voluto replicare il progetto dell’ospedale alla Fiera di Milano, decisione che, come ha sottolineato anche il dottor Maffei, ex direttore dell’Inrca di Ancona, è una scelta che le altre regioni come Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Campania non hanno seguito. La giunta regionale delle Marche se n’è chiesta i motivi?» conclude il segretario regionale.

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