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Influenza aviaria, segnalazioni in Nord Italia. L’infettivologo Giacometti: «Nelle Marche non risultano casi segnalati». Ecco cosa sappiamo

Dalla fine del 2021 il virus ha ripreso a colpire i volatili, ma si sono verificati alcuni casi anche tra i mammiferi. Nel Nord Italia sono stati segnalati casi in Lombardia e Veneto

Uccello morto (Foto di Emilian Robert Vicol da Pixabay)

ANCONA – Preoccupa l’epidemia globale di influenza aviaria (H5N1) che ha ripreso vigore dalla fine del 2021 colpendo i volatili, ma anche dei mammiferi. Il virus non si trasmetterebbe da uomo a uomo, ma ci sono stati casi di infezione da animale a uomo, tanto che il 22 febbraio in Cambogia è morta una 11enne. In Italia non ci sono mai stati casi umani di infezione di aviaria, mentre si sono verificati casi tra i volatili, nel Nord Italia (Lombardia e Veneto), ma comunque il virus viene monitorato e anche nelle Marche virologi e infettivologi si confrontano su questo come su altri virus.

«Nelle Marche non risultano casi segnalati, ma questo non significa che non possono esserci stati» spiega l’infettivologo Andrea Giacometti, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Azienda ospedaliero universitaria delle Marche. «Difficile sapere se dietro alla morte di un gabbiano o di un piccione non ci sia l’influenza aviaria», spiega.

Perché questa recrudescenza? «Si parla dell’influenza aviaria ormai da quasi vent’anni, da quando sono stati segnalati i primi casi, soprattutto tra Indocina e Cina, dove sono presenti grandissimi allevamenti di pollame e maiali che stando in stretto contatto, favoriscono la diffusione del virus da animale ad animale. In questi anni si sono verificati anche alcuni casi di passaggio dell’infezione dall’animale all’uomo, con alcuni morti, soprattutto allevatori che avevano contratto l’aviaria venendo a contatto con le deiezioni degli animali, ma il passaggio da uomo a uomo non c’è stato».

L’infettivologo Andrea Giacometti

«C’è da dire – spiega – che ogni 10-20 anni questi virus possono avere mutazioni importanti e in caso di infezione umana può arrivare a trasmettersi abbastanza bene da uomo a uomo per poi, nel tempo, adattarsi sempre di più per poi trasmettersi benissimo. Una cosa del genere è già successa nel 2009 con l’influenza suina e con l’influenza Spagnola che ha colpito negli anni 1918 e in quelli successivi, causando decine di milioni di morti, non si sa con certezza. La Spagnola era un virus aviario».

Professore, come ci si può difendere? «Attualmente non esiste un vaccino umano contro l’influenza aviaria, ma in alcuni Paesi orientali come la Cina si usano dei vaccini per gli animali che però non sono adatti per l’uomo. Se però dovessero servire potremo ottenerli abbastanza rapidamente, in tempi probabilmente più brevi di quelli che abbiamo impiegato per fare il vaccino anti-Covid. Quello che posso consigliare è di vaccinarsi per l’influenza stagionale, per avere una protezione per così dire ‘crociata’ contro questi virus influenzali che hanno sempre qualche somiglianza».

L’infettivologo evidenzia una serie di «campanelli d’allarme, con casi segnalati in Russia, Europa dell’Est e Italia del Nord. Che significa? Secondo me alla base ci sono due motivi: uno è che l’uomo sta sconvolgendo l’ambiente e l’altro sono gli allevamenti intensivi. Con la devastazione di zone naturali, i volatili presenti in queste aree si spostano e se hanno l’infezione finiscono per contagiare il pollame. La prima causa quindi è la devastazione del Pianeta operata dall’uomo, la seconda sono gli allevamenti intensivi perché se arriva un uccello infetto in mezzo a un allevamento di 20mila – 200mila polli è chiaro che li contagia tutti quanti. Le stesse cause che sono anche alla base della pandemia di Covid-19».

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