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Femminicidio e aggressioni nelle Marche, lo psichiatra Volpe: «Incremento della violenza. La rabbia va gestita»

Le recenti notizie di cronaca sul femminicidio e sulle aggressioni avvenute in strada rimandano ad una escalation di violenza. Ne abbiamo parlato con lo psichiatra Umberto Volpe

ANCONA – Escalation di aggressività nelle Marche. È di pochi giorni fa il femminicidio avvenuto nella notte fra venerdì e sabato a Cerreto d’Esi: Concetta Marruocco, 55 anni, è stata uccisa con diverse coltellate dall’ex compagno, dal quale si stava separando. Lunedì, appena pochi giorni dopo, a Fermignano un uomo, direttore di un supermarket, è stato investito e poi preso a martellate, mentre a Civitanova Marche un altro uomo, sceso dallo scooter, avrebbe aggredito un automobilista in strada, episodio ripreso in un video.

Tre avvenimenti accaduti in una sola settimana. Ma anche volgendo lo sguardo più indietro, emergono altri episodi aggressivi, non dimentichiamoci dell‘omicidio avvenuto ad agosto a Sirolo dove un giovane, Klajdi Bitri, è stato ucciso in strada, colpito da una fiocina, sembrerebbe per questioni stradali. Una escalation di aggressività che si registra anche a livello internazionale: al conflitto Russia – Ucraina si è aggiunto nelle ultime settimane quello tra Hamas e Israele.

Cosa sta succedendo? Perché questa escalation di comportamenti aggressivi? «I recenti episodi avvenuti nel contesto marchigiano, così ravvicinati nel tempo, segnalano un incremento della violenza nel nostro tessuto sociale – spiega lo psichiatra Umberto Volpe, direttore della Clinica Psichiatrica dell’Azienda ospedaliero universitaria delle Marche -. È sempre difficile, di fronte a tali episodi, trovarne una logica. In questi ultimi casi ancor di più, in quanto alcuni degli episodi sembrano apparentemente ingiustificati (sebbene comunque ingiustificabili) in quanto legati a futili motivi (mi riferisco, ad esempio, a quelli avvenuti in strada). La difficoltà nasce dalla complessità dei determinanti alla base dei fenomeni sociali ma aumenta quando si tenta di declinarli nei comportamenti dei singoli individui».

Lo psichiatra evidenzia che ogni episodio violento ha la sua storia e che non esiste una violenza uguale ad un’altra. «Da più parti si sentono voci che tendono a rimarcare un generale aumento dei sentimenti di rabbia e degli agiti violenti nelle società occidentali – spiega -. Sul finire dello scorso anno, il New York Times ha pubblicato un articolo intitolato “The year we lost it” (letteralmente ‘l’anno in cui l’abbiamo perso’), riferendosi alla perdita di controllo e alla tendenza sempre più marcata verso l’espressione della rabbia, giungendo a definire il 2022 come “the year of rage” (l’anno della rabbia). L’autore dell’articolo (Adam Sternbergh), intervistando vari esperti del settore, tende a rimarcare che questa escalation di rabbia e violenza potrebbe essere la risposta ad un clima di incertezza internazionale, determinato dai rapidi cambiamenti che sono iniziati lo scorso anno, ma sono proseguiti anche nell’anno che volge ora al termine».

Tra le cause alla base di questa escalation il professor Volpe annovera la pandemia da Covid-19 che già aveva determinato «una serie di cambiamenti rapidi e traumatici in tutte le società del mondo, che spesso hanno determinato un senso generale di perdita di controllo e di intensa paura. La rabbia, la violenza ne è la sua forma più estrema e agita – puntualizza -, può essere senz’altro una risposta alla paura e alla frustrazione e non è un caso se vari studi scientifici hanno segnalato che durante la pandemia è aumentata, nella popolazione generale, la tendenza all’introversione e all’ostilità. Ma esistono anche altri aspetti da considerare, anche ben prima della pandemia. Probabilmente, anche l’aumento dei flussi migratori degli ultimi anni può contribuire: spesso, purtroppo, la migrazione diventa scontro culturale e può generare incertezza o paura. Questo clima può costituire un elemento che rafforza le reazioni aggressive o di violenza vera e propria».

Lo psichiatra Umberto Volpe

Altro aspetto evidenziato dallo psichiatra la crisi valoriale delle società post-moderne che «può versare altra benzina sul fuoco: soprattutto nelle persone più giovani, l’arrivare a gesti di aggressività estremi sembra essere spesso vissuto con una sorprendente leggerezza, figlia probabilmente di un vuoto di contenuti che sembra assimilare la realtà ad un gioco, purtroppo assai pericoloso. La perdita della bussola sociale si interseca molto strettamente con un altro tema di crescente rilevanza negli ultimi anni, ovvero la digitalizzazione: un mondo sempre più virtuale nella comunicazione, nelle relazioni e nelle esperienze tende a far percepire più facilmente la vita, appunto, come un videogioco o come un film. Anche questo aspetto può contribuire al più forte emergere della violenza, come modalità distorta di relazione oggettuale con la realtà. Spesso peraltro la rabbia, proprio nelle persone più giovani, diventa l’emozione più facilmente esperibile e identificabile, talvolta l’unica risposta ad un senso di pervasivo di vuoto».

Il professor Volpe ricorda che la rabbia è un’emozione umana di base, che fa parte della gamma emotiva normale e che può avere «anche significati positivi: può aiutare a superare la frustrazione (reale o immaginaria), a correggere un’ingiustizia o anche a proteggere l’autostima. Non a caso, un secolo fa, Freud collocava la “destrudo” nella diade fondamentale delle pulsioni umane, insieme alla “libido”. Rabbia e aggressività cioè sono parte dell’indole umana e non vanno necessariamente patologizzate». Come arginare il fenomeno? Lo psichiatra chiarisce che questa emozione va gestita conoscendola e «imparando, in un fisiologico processo di crescita verso l’età adulta» ad esprimerla adeguatamente perché è «proprio l’intensità dell’estressione a fare la differenza».

«Già Seneca, nel suo dialogo “De Ira”, ci ricorda che la rabbia non è incontrollabile ma può diventare la più funesta delle passioni, che alla lunga logora l’anima, in primo luogo di chi prova rabbia – prosegue -: il filosofo stoico ci avvisa che la rabbia è una forza che si ripiega su stessa e che è “come un acido che fa danno per primo al contenitore in cui è versato”. Per evitare di incorrere in questa “breve follia”, un altro filosofo stoico, Epitteto, ci ammonisce di imparare ad essere impassibili come rocce: “prova a metterti accanto ad una roccia ed insultarla… cosa ottieni?”. Questi insegnamenti dovrebbero essere parte del crescere armonico, ma oggi, sottolineano questi casi recenti di cronaca, non sembra sempre essere così. Per persone che hanno particolari difficoltà di gestione emotiva, esistono specifici programmi riabilitativi di gestione della rabbia, che hanno dimostrato una notevole efficacia nell’imparare a riconoscere quest’emozione, sviluppare più adeguate strategie di fronteggiamento, indurre una ristrutturazione cognitiva e esprimere anche la rabbia in modo adeguato. Resta la difficoltà – conclude – di individuare precocemente i soggetti con tali difficoltà e indirizzarli quanto prima verso un percorso di più adeguata gestione». 

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