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L’impronta di Michelangelo su Palazzo Colocci

Il Maestro potrebbe aver progettato l'edificio o quantomeno essersene interessato. Tutto nasce dalla scoperta di Luigina Lampacrescia della data, il 1563, incisa sulla pietra angolare che si affaccia su via Pergolesi, a Jesi, e attualmente coperta da un discendente e un cestino per i rifiuti

Palazzo Colocci che si affaccia sull'omonima piazza, di fronte al Palazzo della Signoria

JESI – Luigina Lampacrescia è sociologa ma anche laureata in storia dell’arte e da tempo, insieme al marito, l’architetto Ermanno Tittarelli, osserva con occhio attento Palazzo Colocci – Vespucci (sec. XVI – XVIII), ammirata dalla sua bellezza.

Luigina Lampacrescia

Ed è arrivata alla conclusione che il palazzo sia un edificio di impronta michelangiolesca. Anzi, di più. Che il grande scultore, pittore, architetto rinascimentale, ne sia in qualche modo l’artefice.

«Anche la marchesa Cristina Colocci, che vi abitò a suo tempo, era convinta che il palazzo fosse stato progettato dal Buonarroti. Non esistevano, però, documenti. Ed è stata la domanda che mi sono fatta in questi ultimi anni: “Ma dove saranno?”. E, in un certo senso, un documento l’ho trovato, inciso sulla pietra».

Parte della data, si distinguono i numeri, in carattere rinascimentale, 1 e 5

La mattina di un anno fa, sbirciando il cestino di rifiuti all’angolo tondeggiante del palazzo che dà su via Pergolesi «da quella pietra angolare è spuntata una data, 1563, dai caratteri cinquecenteschi – ricorda Luigina Lampacrescia – coperta a metà, ma al contempo anche protetta, da un discendente esterno e dal cestino dei rifiuti».

La data affiora sull’ottavo mattone partendo dal piano della strada. Rappresenta l’anno di ultimazione della costruzione. E questa ci ricollega al Buonarroti. Diversi erano i progetti architettonici e urbanistici che erano stati avviati a Roma dal Maestro ma «il palazzo di Jesi è il primo finito con i suoi stilemi classici. Un po’ come una firma, prima della sua morte nel 1564. Si tratta senza dubbio dello stile michelangiolesco».

E il 6 con il 3

Quindi sarebbe più di un’ipotesi il fatto che Palazzo Colocci possa essere stato progettato da Michelangelo o, quantomeno, che vi abbia in qualche modo messo mano.

Da anni lei studiava la figura di Angelo Colocci (Jesi 1474 – Roma 1549), una personalità importante, un umanista al servizio di vari Papi, amico dei Medici, collezionista e librario, archeologo, in contatto con i personaggi più grandi della cultura e dell’arte del suo tempo, come Raffaello e Michelangelo stesso. Amico anche di sant’Ignazio di Loyola – fondatore della Compagnia di Gesù «il cui stemma  distingue la centralità della facciata del palazzo jesino».

L’angolo di Palazzo Colocci dove è incisa la data

«Risiedeva sia a Jesi che a Roma e Firenze, dove si rifugiò durante il sacco della città capitolina del 1527. Nella sua villa fiorentina aveva accumulato tanti reperti archeologici. E possedeva una biblioteca immensa, ammirata da tutti».

Quindi il Colocci «non poteva non conoscere Michelangelo, erano quasi coetanei e frequentavano la stessa corte papale».

In più c’è una compatibilità architettonico-stilistica tra il Palazzo Colocci e  il “modo” progettuale del grande Michelangelo, come «le finestre quadrate e quelle alternate da timpani rettangolari e curvilinei. Facciata identica nell’iconologia ai palazzi romani di Michelangelo. La sua impronta è evidente, anche perché in città non esistono finestre del genere. E il portale con la pietra lavorata in bugnato, che fa pensare alle stesse maestranze all’opera».

 

 

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