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«Il valore della pace è un’eredità della Resistenza»

Gruppi virtuali e reali che inneggiano al fascismo. Dalla nostalgia per il Ventennio alle false informazioni storiche che circolano nel web. Il presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Partigiani d'Italia Daniele Fancello spiega quanto sia importante parlare ancora di Resistenza

Anpi nazionale

JESI – Gruppi virtuali, ma anche reali che inneggiano al fascismo. Dalla nostalgia per il ventennio alle informazioni storiche, per lo più false che circolano nel web. E allora «E’ importante parlare di Resistenza perché il fascismo c’è ancora ed è sin troppo tollerato», dice Daniele Fancello, presidente provinciale dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e tesserato dal 1996. Fancello è stato uno dei più giovani iscritti all’associazione jesina dei partigiani e dopo aver ricoperto dei ruoli nel consiglio direttivo dell’associazione, ne è diventato presidente nel 2007 affiancato da Luciano Taglianini.

Presidente, pensa che il web abbia fatto uscire allo scoperto una realtà neofascista?
«No, perché questi gruppi sono virtuali ma anche reali, chi c’è dietro utilizza il web per avere un anonimato parziale che il mezzo di comunicazione garantisce. L’Anpi, che è la casa di tutti gli antifascisti e democratici a cui si possono iscrivere, ha condotto uno studio “Galassia nera” il titolo, proprio per fotografare il fenomeno. Non si tratta sempre e solo di sparuti e isolati gruppi di fanatici: vi è un uso strategico di strumenti di comunicazione di massa».

Il presidente dell’Anpi provincia di Ancona Daniele Fancello

Ma non esiste una legge che vieta l’apologia del fascismo?
«Si, esiste ma c’è molta tolleranza e alcuni operano alla luce del sole. Anche per questo voglio proporre ai comuni di vietare la vendita di gadget, ad esempio, con effige del duce. Il pericolo è che venga sottovalutato, che gli si lasci spazio, e che a furia di concedere spazi, ritorni».

Pensa che la crisi economica abbia peggiorato il quadro?
«Sicuramente il peggioramento delle condizioni generali ha chiuso la mentalità culturale. È più facile attaccare chi sta peggio anziché chi è realmente responsabile dello stato delle cose. Chi è diverso deve solo sparire? Non si cercano di capire le difficoltà altrui. C’è poca realtà politica capace di raccogliere la protesta e migliorare le condizioni di chi sta peggio. Non vedo una massiccia presenza delle istituzioni, un lavoro strutturale e sociale alla base: servono risorse che se non vengono stanziate le cose peggiorano».

Con l’Anpi seguite dei progetti nelle scuole, medie e superiori di tutta la provincia do Ancona, quale la cosa che ti colpisce di più nelle nuove generazioni? «L’attenzione. Si parla poco di Resistenza e spesso i ragazzi vogliono saperne di più dei loro bisnonni. Questa è una grave mancanza e le insegnanti stanno facendo un grande lavoro. Tante le riflessioni sulle analogie con oggi: chi fugge dalla guerra ha molto in comune con i partigiani come portatori di pace. Chi è nato in Italia, ad eccezione della Jugoslavia, non ha nessun impatto con la guerra: ormai vedere un film o una foto di Aleppo non fa differenza, si fa fatica a comprendere la realtà».

Il lavoro con i giovani, quanto è importante partire da qui?
«Fondamentale. Jesi ad esempio è una realtà ricchissima per parlare di Resistenza: penso all’uccisione di Giulio Latini nel 1931, agli esordi del fascismo. Lo ricordo a chi dice che si viveva meglio durante il ventennio: Giulio era in officina insieme ad altri quando al passaggio di una pattuglia intervenne a difesa del fratello che era stato preso a schiaffi. La pattuglia rispose con una raffica di colpi di rivoltella che lo colpirono a morte. Con le iniziative a scuola spero di dare ai ragazzi gli strumenti per capire: mio nonno era partigiano, non mi ha mai raccontato nulla, ma mi dato gli strumenti per capire».

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