Ancona-Osimo

I suicidi tra le forze dell’ordine? «Si chieda aiuto e si ascolti, anche tra i militari». Parla il professor Volpe, psichiatra e docente dell’Univpm

Il professor Umberto Volpe, docente di Psichiatria all'Università Politecnica delle Marche: «Occorre anche notevole impulsività per compiere il gesto finale»

Immagine di repertorio (Pixabay)

ANCONA – Suicidi tra le forze dell’ordine, nell’ultima settimana maggiolina si sono registrati due casi. Sarebbero quattro nel mese di maggio. La nostra testata, CentroPagina.it, ne aveva già dato notizia. E ora torniamo a parlarne con l’aiuto del professor Umberto Volpe, psichiatra e docente della facoltà di Medicina all’Università Politecnica delle Marche.

Professore, nel giro di poco tempo si sono registrati diversi suicidi tra le forze dell’ordine. Lei, in quanto psichiatra, come legge questi eventi?   
«È sempre complesso valutare questo tipo di fenomeni. Il suicidio si configura come un evento di natura ampiamente multifattoriale, in cui convergono elementi individuali, relazionali, situazionali e sociali.  Certamente le forze dell’ordine, come tutte le professioni d’aiuto, sono sottoposte a un maggior stress emotivo a causa dell’interazione con situazioni spesso problematiche». 

Perché una persona arriva al suicidio?
«Non vi è mai un’unica componente, piuttosto una somma di fattori. Tra questi, è preminente un dolore mentale che la persona sente come insopportabile, unito a una visione rigida della vita in cui non sembrano esserci soluzioni».

Il professor Volpe, psichiatra e docente

Il cosiddetto tunnel cognitivo, vero?
«Sì, che porta a maturare un senso di inaiutabilità. Questi elementi, specie se associati a un umore particolarmente basso, possono determinare un’ideazione suicidaria. Occorre però anche una notevole impulsività per compiere il gesto finale. Ma non generalizzerei sulle forze dell’ordine: resta un discorso individuale, anche se in questo tipo di lavori sussistono molti fattori stress, anche in relazione ai traumi psicologici che possono configurarsi durante il servizio». 

Senta, giorni fa un sindacato di polizia ha evidenziato come i militari facciano difficoltà ad esternare i propri disagi, altrimenti il corpo di appartenenza potrebbe sospenderli dal servizio. Ciò, di conseguenza, provoca nel militare una sorta di isolamento e invece servirebbe tutt’altro…
«Credo che esternare le proprie difficoltà, anche tra le forze dell’ordine, sia diritto di tutti. Presso la Clinica Psichiatrica noi effettuiamo pure consulenze di questo tipo. Se esista poi una reticenza nell’ambiente è un altro discorso, ma nessuno dovrebbe sentirsi isolato nei momenti di difficoltà». 

Pare che in stallo, al Parlamento, ci sia – secondo quanto riferiscono alcuni sindacati – una proposta di legge che preveda che il militare richiedente sostegno psicologico non venga sospeso dal servizio, ma gli venga solo ritirata l’arma d’ordinanza. Lei cosa ne pensa? 
«Credo sia importante che si manifesti una maggiore sensibilità al disagio psichico e che, con le opportune cautele, non rappresenti per forza un fattore esclusivo rispetto al lavoro. Ignorare i problemi non aiuta certamente a risolverli».

Però coi veterani americani si è fatto così per molto tempo, giusto?
«Sì. E invece adesso esistono ospedali e progetti specifici per curare il loro disturbo da stress post-traumatico, al ritorno, ad esempio, da scenari di guerra».

Come ovviare al suicidio? Che ad Ancona, le ricordo, è stato il gesto estremo persino di un giovane agente di 23 anni, che aveva finalmente coronato il sogno di indossare la divisa…
«La domanda è semplice ma molto complessa: ad oggi, non abbiamo tutte le risposte ma si può fare molto. A livello individuale è importante essere consapevoli di sé stessi e sensibili ai cambiamenti d’umore e all’emergere di sintomi come quelli indicati prima. È importante anche le figure del familiare/caregiver, di un amico o di un collega».

In che senso?
«Nel senso che, talvolta, la persona ha difficoltà ad esprimere il proprio disagio e favorire il coming out è importante. Nel caso emergano elementi di rischio è opportuno riferirsi a uno specialista in psichiatria per valutare il quadro e prendere quindi i provvedimenti più opportuni. Sono oggi disponibili protocolli di intervento (sia farmacologici, sia psicologici ed assistenziali) validi ed efficaci. Ma non esistono ancora validi markers biologici per il suicidio, che resta un evento non sempre prevedibile».

Veniamo alla pandemia da covid: ha influito sui suicidi? Nei corpi di polizia, proprio nel periodo del lockdown, vennero attivati degli sportelli di ascolto. Timidi passi avanti?  
«La pandemia da covid ha costituto una sorta di trauma psicologico diffuso. Insieme ad altre università italiane, ad Ancona abbiamo collaborato al più ampio studio italiano sugli effetti della pandemia da covid sulla salute mentale: lo studio Comet – si chiama così – ha chiarito che vi è stato un effetto netto del virus sulla salute mentale, con un incremento di sintomi depressivi, ansiosi e da stress nella popolazione generale. È dunque molto probabile che il rischio di sviluppare un’ideazione suicidaria aumenti, in soggetti già predisposti, anche tra le forze dell’ordine. Dare voce a questo disagio rappresenta senza dubbio un rilevante passo in avanti. Anche con il progresso delle cure, il suicidio resta una delle “possibilità umane”, come afferma il suicidologo americano James Hillman. Dobbiamo fare il massimo possibile per tentare di prevenirlo».

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