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La fake news che vinse il Pulitzer e cambiò il giornalismo

Oggi le false notizie imperversano. Ma c'è stato un tempo in cui, addirittura, un fatto inventato conquistò l'ambito riconoscimento. Era il 1980 e dietro allo tsunami giornalistico c'era Janet Leslie Cooke

Janet Leslie Cooke
Janet Leslie Cooke

Il web ha reso universale la diffusione di notizie e immagini, ma parallelamente ha reso altrettanto universale la diffusione di false notizie, le fake news che imperversano e che rendono sempre più difficile distinguere il vero dal falso. Prima dell’etere la comunicazione di massa non è che scrivesse sempre il vero, proprio no. Erano i quotidiani, le riviste settimanali e le radio a diffondere le notizie: le fake news a quel tempo erano un’eccezione, uno scandalo con conseguenze molto gravi anche per giornali importanti che rischiavano il sabotaggio da parte dei lettori. Oggi la mescolanza tra vero e falso è frequente e quasi non ci si scandalizza più; basti vedere il mare di fake news sul Coronavirus che sta allarmando l’intero pianeta. Ma oggi è impossibile che una falsa notizia vinca il premio Pulitzer, la più prestigiosa onorificenza per il giornalismo.

LA GIORNALISTA DEL WASHINGTON POST
Eppure accadde nel 1980. E fu un terremoto che cambiò in qualche modo il giornalismo, e non solo negli Stati Uniti. La protagonista di questa sublimazione del falso, questo tsunami giornalistico, fu Janet Leslie Cooke. Oggi ha 66 anni e vive negli Usa ma non si sa bene dove. Che avesse la vocazione a raccontare bugie lo scoprirono qualche mese dopo l’approdo al Washington Post, il quotidiano della capitale Usa diventato famoso nei primi anni settanta del Novecento con l’inchiesta Watergate che portò alle dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon. Janet presentò titoli e riconoscimenti giornalistici in gran parte falsi come scoprirono dopo lo scandalo, e a 25 anni entrò a far parte del pool giornalistico nella redazione Weeklies che curava l’edizione domenicale con oltre un milione di lettori.

L’articolo “Jimmy’s World” firmato da Janet Cook e pubblicato sul Washington Post.

L’ARTICOLO FA SCALPORE
Il direttore Vivian Aplin-Brownlee apprezzava quella giovane e bella collega che scriveva e raccontava vicende con cura e passionalità. E fu il primo a glorificare l’articolo titolato “Jimmy’s World” nel quale Janet raccontava la storia di un bambino di otto anni tossicodipendente da eroina. Venne pubblicato domenica 28 settembre 1980 e fu un autentico clamoroso successo. La Cooke scrisse con la mente del cronista, la passione del testimone e la destrezza del bugiardo di alto rango. Le crisi d’astinenza di Jimmy tra rantoli, pianti e urla strappava lacrime e rabbia ai lettori. Scrisse dei “segni lentigginosi dell’ago sulla pelle liscia del bambino delle sue sottili braccia marroni”, del degrado morale e sociale, dello sfruttamento.

LA MOBILITAZIONE GENERALE
I cittadini di Washington si mobilitarono per aiutare lo sventurato bambino tossicodipendente e la sua famiglia. I telefoni del municipio, della polizia e dello stesso giornale vennero soverchiati di chiamate: tutti volevano sapere se quel bambino era stato trovato e salvato. Il Washington Post pubblicò ogni giorno, in cronaca, gli sviluppi della vicenda. La pressione del pubblico di tutta la costa occidentale cresceva come una marea e il sindaco Marion Barry mobilitò l’intero corpo di polizia per cercare Jimmy, il bambino eroinomane. Ma non venne trovato. Allora il primo cittadino di Washington mentì e disse che il bambino era conosciuto e veniva curato. Pochi giorni dopo disse che purtroppo Jimmy era morto. Il caso era chiuso.

JANET COOKE VINSE IL PULITZER
Janet Leslie Cooke venne proposta per il premio Pulitzer che le venne assegnato con gli applausi di tutta l’America. Meno che da Toledo, città da trecentomila abitanti dello stato dall’Ohio dove Janet era nata e aveva lavorato nel giornale locale, il Toledo Blade. Quando i suoi ex colleghi lessero le sue biografie, pubblicarono articoli dove accertarono che le credenziali di Janet non erano veritiere. Ma anche nelle redazioni dello stesso W.Post erano in molti a sostenere che “Jimmy’s World” era una bufala inventata di sana pianta da Janet Cooke. Alla fine la giornalista confessò. E fu una caduta degli dei.

LE SCUSE DEL DIRETTORE
Fu l’editore in persona, il potente e autorevole Marc Fisher, a chiedere scusa ai lettori del Washington Post e comunque, per diverse settimane, perse circa metà della tiratura, poi riconquistata. Janet Leslie Cooke venne licenziata in tronco, denunciata, le venne tolto il Pulitzer e le venne tolta anche la licenza di giornalista. Ma molti intellettuali e scrittori la difesero, su tutti il famoso Gabriel Garcia Màrquez – scrittore, giornalista e saggista colombiano naturalizzato messicano – vincitore del Nobel per la letteratura nel 1982, che su Janet Cooke disse “non è giusto che abbia vinto il Pulitzer, ma è ingiusto non aver vinto il premio Nobel per la letteratura”. Quanto l’abbia dichiarato convinto, oppure con il sottile e provocatorio sarcasmo che lo distingue, non è dato sapere. Il Pulitzer a una fake news.
La vicenda purtroppo incrinò per un periodo la credibilità dei giornalisti e dei giornali, e il web oggi contribuisce a rendere le notizie ancora più “liquide”.

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