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Ehi Siri, stiamo vivendo nel Grande Fratello di George Orwell? La tecnologia ci spia?

Smartphone e assistenti vocali possono ascoltare quello che diciamo mettendo a rischio la nostra privacy? Ecco gli ultimi aggiornamenti

Con la massiccia diffusione degli assistenti vocali si moltiplicano le segnalazioni e le denunce online di casi in cui si sospetta che i nostri smartphone possano in qualche modo ascoltarci, captando parole o informazioni dai nostri discorsi da utilizzare poi per pubblicità mirate, almeno nella migliore delle ipotesi. Oppure siamo controllati dal Grande Fratello raccontato da George Orwell in 1984?

Emblematica l’inchiesta dello scorso anno firmata dal Daily Mail, in cui una giornalista e la figlia si sono viste recapitare un annuncio pubblicitario cucito su misura rispetto a una serie di apprezzamenti espressi, telefono alla mano, di fronte a una vetrina. Servizi di questo tipo si ripetono da mesi se non anni.
Un ingegnere del nostro territorio, dopo aver inviato tramite Whatsapp la foto di un particolare tipo di mattonella dall’originale striatura, si è visto bombardare su Facebook da pubblicità proprio di quella mattonella. Una coincidenza?
Ancora: comitive a cena hanno lasciato i cellulari sopra il tavolo e l’indomani hanno trovato su Facebook post sponsorizzati relativi a prodotti, nomi di città, mete vacanziere o articoli per la casa estrapolati dai discorsi fatti durante la cena. Soltanto leggende?

LA BAMBOLA SPIA
Ricordate il famigerato caso in Germania della bambola spia Cayla ritirata dal mercato? Qualche anno fa esplose la notizia: l’ente di monitoraggio tedesco ha chiesto ai genitori di distruggere questo giocattolo in quanto probabilmente hackerato per rubare dati personali o per veicolare messaggi pericolosi agli innocenti bambini. A quanto pare il suo microfono e la sua connessione bluetooth, integrati nella bambola stessa, sarebbero stati uno strumento utile a promulgare forme di spionaggio.
La compagnia che produce la bambola si chiama Genesis Toys e nel 2016 è stata citata in giudizio di fronte alla Free Trade Commission da un gruppo di consumatori statunitensi. Questi sostengono che Cayla raccolga illecitamente dati dai bambini e li trasmetta a una società chiamata Nuance Communications, autrice dell’applicazione che accompagna il giocattolo. Una preoccupazione simile riguarda anche il robot intelligente i-Que, creato dalla stessa Genesis Toys.

DISPOSITIVI SEMPRE IN ASCOLTO
Un dubbio legittimo: se i dispositivi sono in grado di riconoscere il comando vocale per potersi attivare, vuol dire che sono sempre in ascolto e sanno distinguere tutte le parole che pronunciamo. Il sospetto di essere spiati dai nostri supporti tecnologici non riguarda solo i telefoni cellulari, ma sopratutto gli assistenti per la casa come Assistant, Siri, Alexa, Echo e Cortana per non parlare delle Smart TV di ultima generazione simili a quelle descritte da Geroge Orwell in 1984, che offrono agli utenti la possibilità di collegarsi a Internet, navigare sul web e scaricare applicazioni da un apposito app store. In modo del tutto simile a smartphone e tablet, questi apparecchi sono dotati del controllo vocale: l’utente può cioè eseguire alcuni comandi parlando con la TV invece che utilizzare il telecomando.

IL GRANDE FRATELLO DI ORWELL
Nel rileggere 1984 oggi colpisce soprattutto l’idea di Orwell dei teleschermi, televisori dotati di telecamera che osservano tutto ciò che accade. Sono tra i primi oggetti a essere descritti nel romanzo: “Il volume di quell’apparecchio (si chiamava teleschermo) poteva essere abbassato, ma non spento”. È onnipresente, in ogni stanza privata e spazio pubblico, fino alla fine del libro quando continua “a vomitare le sue notizie dei prigionieri, del bottino, del massacro”, anche dopo le dimissioni di Smith. Orwell sembra ispirarsi all’ultimo modello Huawei Honor Vision con videocamera integrata che, oltre all’assistente vocale, ha la possibilità del riconoscimento facciale e controllo movimenti. Gli osservatori si chiedono se gli utenti siano in grado o meno di capire quando una videocamera di dimensioni così ridotte sia attiva oppure no e da quali logiche dell’algoritmo dipenda.

LA FINE DELLA PRIVACY?
È indubbio che il proliferare della tecnologia in questa direzione pone il problema della tutela della nostra privacy: è auspicabile avere nell’intimità della nostra casa strumenti che sarebbero in grado di ascoltare e di osservare anche quando non ce ne accorgiamo, per poi magari trasmettere i dati a società terze che li impiegheranno per gli usi più disparati?
Troviamo un altro indizio – sempre in 1984 di George Orwell – nascosto in un libro nel libro: la storia censurata della nascita del Partito, scritta da uno dei suoi primi architetti, che da allora è diventato un Nemico del Popolo. Lo scritto imputa alla tecnologia la colpa per la distruzione della privacy, ed è qui che cogliamo un barlume del mondo in cui oggi viviamo: “Con lo sviluppo della televisione, e l’avanzamento tecnologico che ha reso possibile ricevere e trasmettere segnale simultaneamente tramite lo stesso dispositivo, la vita privata è giunta alla fine”.
Sarah Igo dell’Università di Vanderbilt, Tennessee, ha fatto notare come la domanda di privacy degli americani nel Ventesimo secolo sia andata di pari passo con la loro stessa decisione di sacrificarla. Allo stesso tempo, i cittadini hanno protetto e condiviso le loro vite private attraverso sondaggi e social media, arrivando gradualmente ad accettare che contribuire alla raccolta dei dati – e delle ricompense che ne derivano – su cui dipendiamo sempre di più, sia parte integrante della vita moderna. Anche se alcune di queste abitudini sono state adottate in maniera più entusiasta di altre, Igo ha dimostrato come ormai pensiamo che la scelta non abbia nulla a che vedere con i nostri dati personali.

LO SCANDALO FACEBOOK-CAMBRIDGE ANALYTICA
È stato uno dei maggiori scandali politici avvenuti all’inizio del 2018, quando fu rivelato che Cambridge Analytica, società terza di elaborazione di Big Data, aveva raccolto i dati personali di milioni di account Facebook senza il loro consenso e li aveva usati per scopi di propaganda politica. È stato definito come un momento di spartiacque nella comprensione pubblica dei dati personali e ha provocato un forte calo del prezzo delle azioni di Facebook, alla quale si chiede una regolamentazione più rigorosa sull’uso dei dati personali da parte delle aziende tecnologiche. Oltre ai profili psicometrici, Cambridge Analytica ha acquistato nel tempo molte altre informazioni, che possono essere ottenute dai cosiddetti “broker di dati”, società che raccolgono informazioni di ogni genere sulle abitudini e i consumi delle persone.

IL BUSINESS DEI BIG-DATA
Ogni giorno lasciamo dietro di noi una grande quantità di tracce su ciò che facciamo, per esempio quando usiamo le carte fedeltà nei negozi o quando compriamo qualcosa su Internet. Immaginate la classica situazione per cui andate sul sito di Amazon, cercate un prodotto per vederne il prezzo, poi passate a fare altro e all’improvviso vi trovate su un altro sito proprio la pubblicità di quel prodotto che eravate andati a cercare. Ora moltiplicate questo per milioni di utenti e pensate a qualsiasi altra condizione in cui la loro navigazione possa essere tracciata. Il risultato sono miliardi di piccole tracce, che possono essere messe insieme e valutate. Le informazioni sono di solito anonime o fornite in forma aggregata dalle aziende per non essere riconducibili a una singola persona, ma considerate la loro varietà e quantità, algoritmi come quelli di Cambridge Analytica possono lo stesso risalire a singole persone e creare profili molto accurati sui loro gusti e su come la pensano.

LA PUNTA DELL’ICEBERG
Lo scandalo Cambridge Analytica rappresenta la punta dell’iceberg in materia di utilizzo dei dati personali relativi all’uso del web, delle tecnologie digitali e dei social network. I colossi del web sono multinazionali che operano in tutto il mondo, sorvolando le leggi degli Stati che spesso non sono abbastanza veloci da legiferare in temi complessi come quelli della comunicazione informatica e digitale.
Nel frattempo la nostra vita è sempre più dipendente dalla tecnologia, le nostre scelte sono sempre più condizionate dall’informazione online e anche l’educazione dei nostri figli, soprattutto in tempi di lockdown e coronavirus, è strettamente legata ai dispositivi “smart”.
Cosa possiamo fare per proteggere la nostra privacy? In attesa di una regolamentazione comunitaria possiamo imparare un uso più “etico” della tecnologia, informandoci sul suo funzionamento per poter prendere coscienza di come gestire funzioni e applicazioni che riteniamo troppo invasive.

LA SMENTITA DEGLI SCIENZIATI
Sono molti gli scienziati che hanno studiato il fenomeno per cercare di fornire risposte alle paranoie-digitali degli utenti. Uno studio su più di 17mila app di Android è stato condotto dai ricercatori della Northeastern University di Boston provando che nessuna applicazione aveva effettuato registrazioni abusive attivando clandestinamente il microfono del cellulare. James Mack, ingegnere presso Wandera, dopo aver condotto un esperimento lasciando attive le app Facebook, Instagram, Chrome, SnapChat, Youtube e Amazon, ha dichiarato: “Abbiamo osservato che i dati osservati nei nostri test sono molto ma molto più bassi di quelli consumati dall’assistente virtuale nel periodo di 30 minuti, il che suggerisce che la registrazione costante delle conversazioni e il relativo caricamento sul cloud non avviene, almeno con le app che abbiamo analizzato. Se lo fosse, ci aspetteremmo che l’utilizzo dei dati sia elevato quanto il consumo di dati degli assistenti virtuali”.
Anche Wired si è occupato del fenomeno, con un’intervista ad Antonio García Martínez, product manager di Facebook dal 2011 al 2013, spiega che Facebook non ascolta le conversazioni degli utenti di nascosto perché altrimenti avrebbe bisogno di Data Center 33 volte più grandi degli attuali solo per raccogliere i file audio, per loro natura molto più pesanti di quelli testuali.
La conclusione per il momento è che, stando ai risultati delle ricerche degli scienziati, non c’è nessuna prova che i nostri telefoni ci ascoltino, tranne nei casi in cui diamo esplicitamente l’autorizzazione a un’app di utilizzare il microfono: crederlo è solo complottismo.

UN ESPERIMENTO FACILE
Vi invitiamo a provare questo esperimento per vedere come Google traccia le nostre attività online per capire come, soltanto analizzando le ricerche che quotidianamente facciamo sul motore di ricerca, possano delineare il nostro profilo, senza che il gigante del web si prenda il disturbo di registrare di nascosto le nostre conversazioni. Se avete un Account Google andate sulla pagina “Le mie Attività” https://myactivity.google.com.

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