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Pesaro, lavoratori della Berloni in sciopero: «Nessuna crisi, ma in liquidazione»

Sindacati e maestranze uniti. Sul posto anche il sindaco Matteo Ricci che è pronto ad aprire un tavolo. Per la Cna «Attenzione ai capitali esteri e all'abbandono»

PESARO – Come un fulmine a ciel sereno. La notizia della messa in liquidazione della Berloni agita dipendenti, fornitori e indotto. Intanto le maestranze oggi, venerdì 29 novembre, hanno fatto un picchetto davanti ai cancelli dello stabilimento per manifestare il loro dissenso. Sciopereranno anche lunedì 2 dicembre.

«Berloni è un’azienda che lavora – spiega Giuseppe Lograno della Fillea Cgil – non aveva i fatturati di dieci anni fa, ma stava crescendo sotto una nuova spinta legata al mercato estero. Fino a poco tempo fa addirittura stavamo discutendo con la proprietà di contratti integrativi e prestazioni, quindi non si pensava a tutto questo. Ma l’ultima riunione dei soci ha generato attriti, tanto da mettere in liquidazione l’azienda.

Ancora non sappiamo quale è la strategia, è successo a migliaia di chilometri da qui. Non capiamo se vogliono chiudere e prendersi il marchio o riformulare l’assetto societario. Quello che è certo è che daremo manforte ai lavoratori. C’è tanta preoccupazione per i posti di lavoro e anche per i fornitori e l’indotto che stava generando questa azienda».

La Berloni Group srl, storico marchio della della produzione di cucine, nasce nel 2014 prendendo in affitto prima e successivamente acquistando un ramo d’azienda della Berloni spa. L’azienda passa nelle mani di proprietari taiwanesi che decidono di investire nel nostro territorio in uno dei settori più riconoscibili per il “Made in Italy”. Le quote di maggioranza sono detenute da Hcg di Taiwan, ma nella compagine anche Thermos e altri investitori.

I lavoratori sono molto scossi. «Non ce lo aspettavamo – dicono alcuni – e ora che facciamo? Abbiamo una famiglia, un affitto o un mutuo da pagare. Siamo molto preoccupati. Non c’erano segni di crisi rispetto a ordinativi e lavoro».

Ricci e Biancani parlano coi lavoratori

E sulla vicenda è intervenutto anche il governatore delle Marche Luca Ceriscioli. «La crisi della Berloni è un vero fulmine a ciel sereno. La Regione farà la sua parte per le necessità che ci verranno rappresentate. Un marchio storico della regione che ha contribuito a rafforzare nel mondo il “Made in Italy” e il “Made in Marche”, simbolo di una produzione di qualità e altamente qualificata. Facciamo fatica a capire esattamente quello che stia succedendo – spiega – Il nostro impegno, comunque, non verrà meno e non mancherà la nostra vicinanza nei confronti delle 85 famiglie dei lavoratori coinvolti in questa crisi aziendale».

Al picchetto anche il sindaco Matteo Ricci: «Notizia del tutto inaspettata, in verità non legata alla produzione. L’azienda stava andando meglio, era riuscita ad alzare di nuovo la testa dopo anni di difficoltà». Per il sindaco, dunque, «una strana vicenda». Legata ai soci taiwanesi «che improvvisamente decidono di mettere in liquidazione la società. Pare per discussione societaria e diversità di vedute all’interno della proprietà».

Ora, spiega Ricci agli operai, «cercheremo un canale per parlare con la proprietà, in modo da capire subito se la decisione è irreversibile o meno. Se non lo è dobbiamo immediatamente aprire un tavolo anticrisi. Perché bisogna assolutamente mantenere i posti di lavoro. E salvare un marchio storico del territorio. Lo abbiamo fatto nel 2013 (Ricci seguì la vertenza all’epoca da presidente della Provincia, ndr), ci riproveremo anche adesso. Non mollando di un millimetro per gli operai, per l’azienda e per salvaguardare un marchio che può dare ancora tanto all’economia pesarese».

Aggiunge il sindaco, uscendo dal picchetto: «Proprietà e liquidatore sono i primi due incontri che vogliamo mettere in agenda. Di sicuro cercherò in queste ore la famiglia Berloni, con cui abbiamo mantenuto un contatto costante negli anni, per farmi raccontare anche il loro punto di vista. Poi siamo a disposizione dei sindacati (presenti davanti ai cancelli, ndr) per aprire il tavolo anticrisi». Perché «se la scelta non è rimediabile, va aperta la fase due. Ovvero garantire i lavoratori con gli ammortizzatori per sostenere le difficoltà. E guardare a nuovi potenziali acquirenti che abbiano gli stessi nostri obiettivi: salvaguardare il marchio e mantenere posti di lavoro. Favorendo magari anche un contatto con il liquidatore».

Il sindaco (che nelle scorse si è sentito con Confindustria e Camera di Commercio delle Marche, ndr), si aggiornerà all’inizio della prossima settimana con i sindacati: «Siamo vicini ai lavoratori. Capiamo lo stato d’animo di chi, dalla mattina alla sera, si ritrova in questa situazione».

Ad affiancare Ricci, anche il consigliere regionale Andrea Biancani: «La Regione c’è e le istituzioni saranno unite ai tavoli».

Sul caso anche la Cna: «Si tratta di una decisione inattesa che lascia di stucco tutti: maestranze, sindacati, fornitori, istituzioni e che crea un ulteriore tavolo di crisi in un distretto come quello del mobile e arredamento, che soffre già da anni una crisi senza precedenti. Oltre a creare una grave crisi occupazionale, rischia di innescare un pericoloso effetto domino. Sono molte le piccole e medie imprese della subfornitura che hanno rapporti con il gruppo Berloni e che ora – a seguito della messa in liquidazione dell’azienda – subiranno pesanti ripercussioni e che vedranno ridursi notevolmente le proprie commesse. La decisione appare ancor più inspiegabile visto che la storica azienda stava lentamente risalendo la china. Purtroppo – dice il segretario provinciale della Cna, Moreno Bordoni – sono questi i risultati di operazioni di mercato dove le multinazionali estere finiscono per avere responsabilità enormi.

Entrano per rilevare storici brand della manifattura italiana a prezzi di saldo con pochissimi capitali e investimenti per poi abbandonarli al loro destino se nel giro di pochissimo tempo non tornano a produrre utili soddisfacenti. I macroscopici casi dell’Ilva e della Whirpool sono un esempio. Se per le multinazionali si tratta di semplici operazioni finanziarie, per queste aziende, per le loro maestranze e per le imprese che con queste lavorano, si tratta molto spesso di sopravvivenza e del loro futuro».

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