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Direzione Investigativa Antimafia: «Marche potenziale crocevia di prodotti illeciti». Faro acceso sulle regionali

Il report della Dia, relativo al secondo semestre 2019, mostra che la regione non è ancora sede di sodalizi criminali consolidati, ma evidenzia presenze della 'ndrangheta

Direzione Investigativa Antimafia

ANCONA –  «Le caratteristiche del sistema economico-produttivo marchigiano potrebbero richiamare gli interessi della criminalità organizzata, soprattutto in funzione del riciclaggio e del reinvestimento dei capitali illecitamente acquisiti». È quanto si legge nella relazione relativa al secondo semestre 2019 dalla Direzione Investigativa Antimafia.

Se da un lato il Report, in linea con quelli dei semestri precedenti, sottolinea che «la regione non appare al momento essere sede di consolidati sodalizi criminali di tipo mafioso», dall’altro evidenzia come nel tempo siano emerse presenze criminali calabresi in particolare, a San Benedetto del Tronto, con alcuni soggetti riconducibili alla ‘ndrangheta del catanzarese, mentre nel Maceratese e nel Fermano riconducibili a cosche del crotonese. In provincia di Pesaro-Urbino invece sono stati individuati soggetti riconducibili a cosche dell’area reggina.

Marginale la presenza della camorra che, nel tempo, ha riguardato principalmente il reimpiego di capitali nel tessuto socio-economico locale: da evidenziare poi che le Marche sono state scelte da alcuni pregiudicati di particolare spessore criminale per trascorrervi la latitanza. Rilevata poi la presenza di soggetti collegati a sodalizi pugliesi, specie foggiani che, attraverso il ‘pendolarismo criminale’, si sono resi responsabili di reati predatori messi in atto anche con metodi piuttosto aggressivi, o di spaccio di stupefacenti.

Rilevata anche la presenza di gruppi criminali di matrice etnica «che, seppur non caratterizzati da strutture organizzate stabili, tenderebbero progressivamente ad occupare porzioni di territorio» si legge nel Report. Secondo quanto emerge dalla relazione della Dia, la criminalità di origine straniera «sarebbe riuscita a ritagliarsi spazi nel settore degli stupefacenti, del traffico di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, riuscendo anche a riciclarne i proventi» proprio in ragione «dell’assenza di un capillare controllo delle aree da parte di gruppi criminali nazionali».

Il Report della Dia evidenzia che la posizione strategica delle Marche, al centro della penisola, e la presenza del porto di Ancona, il primo scalo del dell’Adriatico per traffico internazionale di veicoli e passeggeri ed uno dei primi per movimentazione delle merci, rendono la regione «un potenziale crocevia» di prodotti illeciti, quali sostanze stupefacenti, sigarette di contrabbando, merci oggetto di ricettazione, quelle contraffatte e rifiuti speciali.

E sempre lo scalo dorico, essendo proiettato verso le regioni balcaniche, è «punto di snodo per una serie di attività illecite, quali il traffico di tabacchi lavorati esteri, di merci contraffatte di origine cinese, il trasporto di clandestini, il traffico di stupefacenti provenienti dalle rotte turche e albanesi e il traffico di rifiuti speciali». Un business, quello legato alla gestione dello smaltimento dei rifiuti, che era già emerso in passato, anche se sviluppato «in contesti non riconducibili a profili mafiosi».

«L’attenzione della Guardia di Finanza è sempre alta sull’aggressione economico-finanziaria nei confronti delle organizzazioni criminali» commenta il generale Claudio Bolognese comandante provinciale delle Fiamme Gialle di Ancona. Un faro acceso anche sul Porto di Ancona dove i militari recentemente hanno arrestato due corrieri della droga provenienti dall’Albania e arrivati ad Ancona con 1kg di eroina, sequestrato circuiti respiratori per la terapia intensiva diretti in Grecia, sventato un traffico illegale di rifiuti Raee e di specie animali protette. «Uno sforzo che continua ogni giorno a presidio anche degli spazi portuali» conclude Bolognese.

Ma a rendere le Marche vulnerabili alle infiltrazioni mafiose, richiedendo quindi una «alta attenzione» per contrastarne il rischio, c’è anche la questione del post-sisma. La regione infatti essendo destinataria di «consistenti risorse pubbliche investite nella delicata fase di ricostruzione» post sisma, corre un rischio concreto di «infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti». Per quanto riguarda invece i beni confiscati, questi vedono ai vertici della classifica in ordine quantitativo Pesaro Urbino, seguita da Macerata, Ascoli Piceno e Ancona.

L’IMPATTO DEL COVID
Il Report della Direzione Investigativa Antimafia mette in luce anche un’altro aspetto che deve destare particolare attenzione, ovvero la fase post-Covid. «Le organizzazioni criminali hanno tutto l’interesse a fomentare episodi di intolleranza urbana, strumentalizzando la situazione di disagio economico per trasformarla in protesta sociale, specie al Sud – si legge nel documento -. Parallelamente, le organizzazioni si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, offrendo generi di prima necessità e sussidi di carattere economico».

Insomma, un vero e proprio investimento sul consenso sociale, che se da un lato «fa crescere la “rispettabilità” del mafioso sul territorio, dall’altro genera un credito, da riscuotere, ad esempio, come “pacchetti di voti”» in vista delle elezioni. Un fenomeno che investe l’intero Paese, Marche incluse, dove il 20 e 21 settembre si andrà alle urne per le regionali.

Due gli scenari possibili individuati dalla Dia, oltre a quello del welfare alternativo con le organizzazioni che cercheranno di consolidare il proprio consenso sociale attraverso forme di assistenzialismo, come prestiti di denaro, per poi chiedere dirottare in cambio voti, e un’altro in cui le mafie, e la ‘ndrangheta in particolare «vorranno ancora più stressare il loro ruolo di player affidabili ed efficaci anche su scala globale».

«Non è improbabile che aziende di medie e grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva su capitali mafiosi» si legge nel Report, nel quale viene anche precisato che «non è improbabile che altre aziende in difficoltà ricorreranno ai finanziamenti delle cosche».

Sanità, turismo, ristorazione e servizi alla persona i più appetibili e quindi più a rischio di infiltrazioni mafiose, il primo per le risorse a disposizione, gli altri perché in forte crisi di liquidità.

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