Attualità

L’Africa non chiede aiuto, vuole dignità

Per anni aiuti in Africa senza ricordare la dignità delle persone. A Jesi, al convegno che si è tenuto sabato scorso a Palazzo dei Convegni, l'europarlamentare Eugenio Melandri ha spiegato il fenomeno migratorio di questi anni

Un momento del convegno

JESI – Si è svolto sabato a Palazzo dei Convegni l’incontro con Eugenio Melandri presidente dell’associazione “Chiama l’Africa”, già missionario saveriano e Parlamentare europeo. L’incontro, organizzato dall’associazione di volontariato internazionale “Liberato Zambia 2001 Onlus”, in collaborazione con la Consulta per la Pace ed il comune, è stato presentato dal giornalista Rai Vincenzo Varagona.

«C’è un stretta interdipendenza tra la cooperazione internazionale, i processi migratori e l’accoglienza delle migliaia di persone disperate, in fuga da un’esistenza precaria e senza futuro. Un quadro reso di drammatica attualità in questi ultimi anni, destinato a incidere profondamente sulla nostra vita quotidiana» ha detto Melandri. Il neocolonialismo delle multinazionali che traggono benefici in Africa non può rimanere senza conseguenze ha aggiunto Melandri: «Si sta presentando il conto di politiche sbagliate. Queste persone pretendono di avere le stesse occasioni di altri uomini e donne: l’Africa chiede che la sua dignità venga riconosciuta, non è più una richiesta di aiuto. Per decenni abbiamo mandato aiuti in Africa senza rispettarne la dignità ma la prima regola della solidarietà è quella di conoscere il destinatario degli aiuti». Liberato Zambia è una Onlus che tra i vari progetti vanta interventi concreti per combattere la malnutrizione infantile: grazie a visite specifiche negli otto centri nutrizionali della regione del Copperbelt, in Zambia appunto, viene somministrato un integratore alimentare specifico per quei bambini che al termine dell’allattamento materno non ricevono una alimentazione adeguata per mancanza di cibo, causata dalla povertà, associata a carenze culturali delle famiglie appartenenti a fasce sociali molto disagiate, di solito residenti nei degradati “compounds” (bidonville) delle periferie di grandi città.

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