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«Come un equilibrista»

A colloquio con Sandro Paradisi, titolare dell'azienda Paradisi di Jesi. Che nel 2008, a seguito della crisi del distretto fabrianese, ha rivoluzionato tutta la sua produzione. Assieme ai lavoratori

L'imprenditore Sandro Paradisi
Sandro Paradisi

JESI – «I dipendenti vanno ascoltati e coinvolti nelle scelte, premiandoli se l’azienda aumenta i propri guadagni». I sindacati? «Il rapporto conflittuale è controproducente, anche loro devono essere parte attiva nello sviluppo di un’impresa». Non serve andare in nord Europa per vedere applicati tali principi. È sufficiente entrare nella zona industriale di Jesi e dirigersi verso via di Vittorio. Lì, in un angolo, è posizionato un fiore all’occhiello della manifattura della Vallesina: la Paradisi srl. Un’azienda metalmeccanica che potrebbe essere tranquillamente utilizzata quale sinonimo di resilienza, vale a dire la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, trasformandoli in opportunità.

L’imprenditore Sandro Paradisi

Anno 2008, crolla il distretto fabrianese. Sandro Paradisi, titolare dell’impresa, calcola rapidamente la perdita potenziale di fatturato. Ipotizza un 20%. Ma è troppo ottimista. Il conto economico è impietoso: – 35%. Che fare? Attendere sottocoperta la fine del temporale e intanto licenziare? Mettere al sicuro il patrimonio personale? In molti, probabilmente, si sarebbero mossi in questo modo. Ma non il ciclista Paradisi, che decide invece di fronteggiare l’impervia “salita” e investire. Su tre cose: macchinari, organizzazione interna e soprattutto persone. Zero ore di cassa integrazione, nessuna richiesta di ammortizzatori sociali. Solo tanta, tantissima, formazione. Perché passare da maniglie e pomelli degli elettrodomestici a iniettori e valvole del settore automotive non è affatto semplice. «Abbiamo lavorato per sottrazione, semplificando qualsiasi tipo di attività e riducendo gli sprechi», spiega Paradisi che – alla vigilia del radicale cambiamento – ha annotato su di un foglio la sua piccola grande rivoluzione: «La nostra azienda realizza prodotti di qualità. Esistono, in Italia e all’estero, clienti interessati ai nostri prodotti. I nostri prodotti possono trovare applicazione in domotica, automotive, aerospaziale, navale e automazione». Proprio da qui è (ri)partito tutto.

Paradisi, alla luce di questa esperienza, cosa significa fare l’imprenditore oggi?
«A mio parere significa guardare sempre avanti. Mai indietro, se non per trarre lezioni e correggere eventualmente la rotta. Significa essere predisposto al cambiamento, che va attivato quando le cose vanno bene. Come un equilibrista che, sospeso sul filo, deve procedere nonostante il vento, con passi non troppo lunghi, ma nemmeno eccessivamente corti. Mi devo preoccupare di cosa farò nel 2020. Tutti devono migliorare e migliorarsi. Un’azienda è eccellente quando fa le cose un pochino prima, un pochino meglio e un pochino più a buon mercato delle altre».
Come è riuscito a mettere in atto questa “rivoluzione” aziendale?
«Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con i nostri dipendenti. Noi abbiamo tracciato la strada, ma se i tuoi lavoratori non ti vengono dietro si può fare ben poco. Abbiamo inoltre impostato un rapporto proficuo e costruttivo con le organizzazioni sindacali, nella consapevolezza che la conflittualità non agevola la crescita dell’impresa. Abbiamo rivisto i turni, accogliendo i suggerimenti che man a mano pervenivano dai vari reparti, e un ruolo fondamentale è stato giocato dalle donne della nostra azienda, che si sono messe ad apprendere nozioni mai sperimentate prima e alle quali ora affidiamo sovente le commesse tecnicamente più complesse».

Dal 2016 siete società benefit. Cosa vuol dire?
«La legge ci ha dato questa opportunità e noi l’abbiamo colta. Una società benefit è un’azienda che ha quale obiettivo il profitto, ma con un’attenzione al territorio, facendo in modo che una parte del guadagno venga redistribuito ai dipendenti e, appunto, al comprensorio di riferimento. In base ad alcuni parametri di produttività, i nostri lavoratori percepiscono un riconoscimento economico in busta paga. Allegato al bilancio tradizionale, inoltre, pubblichiamo un bilancio socio-ambientale, dove scriviamo quanto l’azienda “pesa” sul territorio e quanto “produce” per esso. Crediamo molto nella trasparenza, il solo strumento per vincere la diffidenza fra i cittadini e il mondo industriale».

Ritiene che vi sia uno scollamento fra società civile e aziende?
«Sono convinto che non bisogna chiudersi a riccio dentro alla propria fabbrica, ma aprirsi al mondo. Solo così possono essere colte le opportunità. In Vallesina, ad esempio, sarebbe bello celebrare l’industria. Che poi non è altro che la conseguenza di una buona formazione scolastica e di un elevato livello degli istituti tecnici, troppo spesso snobbati. Per un successo duraturo dell’impresa è imprescindibile il contatto con il territorio di riferimento, la collaborazione dei dipendenti e con  i sindacati. È fondamentale poi fare autocritica sugli errori commessi, quando si sono rincorsi facili guadagni, e smetterla di piangersi addosso. Il sogno resta alla base di qualsiasi attività, il mio era questo e l’ho realizzato. Guardare avanti è l’unico modo per arrivare prima. Ovviamente anche rischiando. L’imprenditore, del resto, fa questo».

L’azienda Paradisi a Jesi

Cosa manca all’Italia per abbracciare questa filosofia?
«La volontà di correre tutti per il medesimo obiettivo. La nostra meccanica di precisione, ad esempio, è dietro solo alla Germania in Europa. In pochi lo sanno. E se vogliamo mantenere questo lusinghiero secondo posto, o addirittura migliorarlo, abbiamo almeno bisogno di connessioni internet più veloci, di rete elettriche stabili, di infrastrutture adeguate e di norme a supporto. Ora si parla di “manifattura 4.0”: questa sì che sarà una rivoluzione, con le macchine che saranno gestite da remoto. L’importante è che non venga attuata all’italiana».

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