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Buoni fruttiferi: cosa fare se le Poste rimborsano meno del previsto

La vicenda nasce negli anni Settanta. Nel corso di quel decennio e sino al 1986 l’ente ha emesso dei buoni con rendimenti molto consistenti. Poi un decreto ministeriale ha trasformato le serie precedenti in una nuova con interessi inferiori anche del 40%

Poste Italiane
Poste Italiane

Adiconsum sta ricevendo ormai da molto tempo richieste di assistenza da parte di consumatori che hanno sottoscritto buoni postali negli anni Ottanta e che oggi stanno arrivando a scadenza, trattandosi di buoni di durata trentennale. Il punto con Loredana Baldi, responsabile del settore finanziario Adiconsum Marche.

Baldi, quale problema riscontrano i consumatori?
«Il problema che si presenta è che al momento della liquidazione non viene riconosciuto l’importo previsto dalla tabella riportata sul buono, ma importi molto inferiori. Il fenomeno è di dimensioni molto importanti, considerando che il risparmio postale in Italia riguarda una fetta considerevole della popolazione».

Come si è potuta creare questa situazione?
«La vicenda nasce negli anni Settanta. Nel corso di quel decennio e sino al 1986 l’ente Poste ha emesso dei buoni fruttiferi con rendimenti molto consistenti: si tratta delle serie M, N, P e O. Era un periodo in cui nel nostro paese c’era un’inflazione galoppante e questo aveva comportato rendimenti molto elevati: gli interessi erano infatti legati al tasso di inflazione di metà anni ’70, attorno al 16%. Tuttavia l’inflazione a poco a poco era scesa fino al 4,% a metà anni ‘80, e quindi i vari governi, negli anni, sono intervenuti con decreti che in maniera retroattiva hanno abbassato i tassi d’interesse».

Era possibile variare i tassi in maniera retroattiva?
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Il codice postale, la normativa che regolava l’emissione dei Buoni Postali (abrogato nel 2000), prevedeva che l’emissione delle nuove serie di Buoni Postali avvenisse con decreto del Ministero del Tesoro; con il decreto venivano anche stabiliti i nuovi tassi d’interesse in vigore per le serie di nuova emissione che però potevano essere estese anche a serie precedenti.

Questo significa che per decreto era possibile variare i tassi dei buoni postali anche in maniera retroattiva ed è quello che è successo negli anni Ottanta, in particolare nel 1986, quando un decreto ministeriale ha trasformato le serie precedenti nella nuova serie Q, con interessi sensibilmente inferiori, anche del 40%.

Purtroppo all’epoca la legge non prevedeva obblighi informativi verso il titolare del buono, era sufficiente la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale e l’esposizione di appositi avvisi all’interno degli uffici postali. Ecco perché i possessori dei Buoni si sono accorti che il tasso del loro buono era stato cambiato in peggio soltanto al momento del ritiro. I consumatori coinvolti sono davvero molti, proprio perché gli alti tassi di interesse, assicurati per un periodo di 30 anni, avevano attirato moltissimi investitori».

Quali serie sono interessate?
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Buoni della serie L, M, N, O P, (emessi dal 1970 al 1986): nel 1986 sono stati trasformati nella serie Q con tassi d’interesse molto più bassi, tanto che la differenza può arrivare anche a un 40% in meno».

Ma se la modifica è stata prevista per legge non è possibile fare nulla?
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In realtà non è sempre così. Infatti occorre ricordare che la legge prevedeva che al momento dell’emissione l’impiegato postale doveva apporre un timbro sul retro del buono riportante le nuove condizioni e i nuovi tassi d’interesse. Questo non sempre è avvenuto: a volte il timbro non è stato apposto, in altri casi è stato apposto ma non correttamente, o ancora il timbro non copre l’intera durata del Buono».

Si può fare qualcosa in questi casi?
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Naturalmente occorre analizzare il singolo buono postale per verificare se è possibile agire per ottenere il rimborso alle condizioni inizialmente previste, ma di certo, nella nostra esperienza, i Buoni per i quali è possibile intervenire sono decisamente molti».

Su questo argomento c’è già una sentenza della Cassazione a sezioni unite del 2007 che esprime la massima secondo cui “il vincolo contrattuale tra il consumatore e le Poste al momento dell’emissione del buono si fonda sul tenore letterale del titolo, e quindi va rispettato quanto riportato sul buono”.

«Oltre a questa sentenza abbiamo ormai una consolidata giurisprudenza dell’Arbitro Bancario Finanziario che in molte fattispecie si esprime a favore del diritto del titolare del buono di avere il rimborso di quanto riportato sul retro del buono stesso. Naturalmente è necessario analizzare ogni singolo caso, perché ogni situazione è diversa; però vale la pena fare una verifica. Se, al momento della riscossione del buono, vi accorgete che Poste rimborserebbe un importo sensibilmente inferiore rispetto a quanto calcolato secondo il tenore letterale del titolo, vale la pena fare una verifica prima di procedere all’incasso».

Adiconsum è a disposizione di tutti coloro «che hanno buoni postali in scadenza o scaduti in questi ultimi anni, appartenenti alle serie sopra indicate che vogliono verificare se quanto viene offerto dalle Poste per il rimborso sia in effetti la cifra corretta, e se non lo è come sia possibile muoversi per far valere i propri diritti – spiega l’associazione a difesa dei consumatori – Sono già molti i ricorsi vinti da Adiconsum Marche contro Poste Italiane, con conseguente recupero di importi considerevoli per il consumatore. Ricordiamo che molto spesso è una questione di migliaia di euro, non restiamo con le mani in mano a subire passivamente!».

 

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