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Banda dello spray, il 30 luglio la sentenza. Le famiglie: «Non chiediamo vendetta, ma giustizia»

I famigliari delle vittime del Lanterna Azzurra di Corinaldo, dove morirono 5 adolescenti e una mamma, invocano giustizia per chi non c'è più

Lanterna Azzurra
I mazzi di fiori fuori dalla Lanterna Azzurra un anno dopo la strage

ANCONA – È attesa per domani 30 luglio la sentenza nel processo contro la “banda dello spray“, accusata dalla Procura di Ancona di aver spruzzato una sostanza urticante all’interno della discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo, dove nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018 morirono 5 adolescenti e una mamma 39enne, e rimasero ferite 200 persone, nella calca che si era formata per scappare dal locale. I sei giovani, tutti della Bassa Modenese, sono rinchiusi in carcere dal 2 agosto scorso: il gruppetto, specializzato in furti con strappo nei locali notturni, è ritenuto l’autore di numerosi colpi messi a segno nelle discoteche di mezza Italia.
Raffele Mormone, Ugo Di Puorto, Badr Amouiyah, Andrea Cavallari, Moez Akari e Souhaib Haddada domani mattina alle 9 compariranno davanti al gup Paola Moscaroli che si pronuncerà al termine del processo con rito abbreviato.

L’accusa per loro è di omicidio preterintenzionale, associazione per delinquere finalizzata a furti e rapine, lesioni personali anche gravi e singoli episodi di rapine e furti con strappo. Secondo la Procura infatti, quella tragica notte, mentre giovani e giovanissimi affollavano il locale nell’attesa dell’esibizione del trapper Sfera Ebbasta, la banda avrebbe spruzzato lo spray al peperoncino per rubare collane e altri preziosi, approfittando della confusione.

I carabinieri del Ris durante le perizie

Una tesi respinta dai legali del gruppetto: nonostante gli imputati abbiano ammesso l’intenzione di mettere a segno i furti all’interno della Lanterna Azzurra, hanno negato di aver utilizzato lo spray. Sulla bomboletta, ritrovata sul pavimento del locale dopo la tragedia, sono state rinvenute tracce di Dna di Ugo Di Puorto, considerato il boss della banda di giovani ventenni.
I loro legali hanno anche cercato di respingere l’accusa di associazione a delinquere e di omicidio preterintenzionale, giustificando l’accaduto come l’epilogo di più fattori in gioco, fra i quali anche quelli legati all’altro filone di indagine relativo al sovraffollamento nel locale, alle norme di sicurezza adottate e ai permessi rilasciati per la struttura inquadrata come magazzino agricolo.

Una linea difensiva che ha suscitato lo sdegno dei familiari delle vittime.
I Pm Paolo Gubinelli e Valentina Bavai, dopo una requisitoria durata quasi sei ore, hanno chiesto per i membri della banda una condanna a pene comprese tra i 16 e i 18 anni di carcere, che tengono già in considerazione la riduzione di un terzo dovuta al rito abbreviato.

L’appello delle famiglie delle vittime

I familiari invocano giustizia. A perdere la vita quella tragica notte furono: Emma Fabini (14 anni), Benedetta Vitali (15 anni), Mattia Orlandi (15 anni), Asia Nasoni (15 anni), Daniele Pongetti (16 anni) e Eleonora Girolimini, 39 anni, madre di quattro figli.

«Chiediamo che sia inflitta una pena esemplare alla banda – commenta Paolo Curi, marito di Eleonora Girolimini, la mamma 39enne rimasta uccisa nella calca -. Ci hanno tolto una moglie e una mamma, la sentenza dovrà tenere conto di questo, anche come monito e come segno di rispetto verso quelle persone che hanno perso la vita in questo modo. Non chiediamo vendetta, ma giustizia».

Eleonora Girolimini
Eleonora Girolimini

Fondamentale per Curi che non venga trascurato anche l’altro filone di indagine: «Non sono le uniche persone a dover pagare le loro responsabilità. La banda aveva commesso le stesse azioni anche in altri locali, ma non era mai successo niente. È importante che venga fuori anche l’altro filone del processo».

Francesco e Benedetta Vitali

«Non basta l’ergastolo – dichiara Francesco Vitali, fratello di Benedetta, rimasta uccisa quella tragica notte -, anche se ci doveva essere una corretta gestione della discoteca, la banda ha contribuito a portare via alla nostra famiglia una figlia e una sorella. Più saranno gli anni che resteranno chiusi in carcere e più sarò contento, ma la cosa importante è anche che capiscano che hanno sbagliato e che si pentano: finora però non ho avuto l’impressione che si siano pentiti».

Anche se qualunque pena non potrà mai lenire il dolore, per le famiglie è necessario fare giustizia. «Per quanto mi riguarda possono stare dentro tutta la vita e non basta – conclude -, ma il dolore e il vuoto che abbiamo dentro rimarranno per sempre. In ogni caso mi sento fiducioso nella giustizia, anche se spero che il giudice non cada nelle strategie dei difensori».

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