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Baldi: «Il confronto fra territori è crescita»

Intervista all'amministratore delegato dell'azienda Baldi di Jesi: «L'abbraccio meraviglioso delle nostre colline è ciò che quotidianamente mettiamo nei nostri prodotti»

La famiglia Baldi (da sinistra Angela Baldi, Emiliano Baldi, Carla Tomassoni, Mattia Romagnoli)

JESI – «Il nostro territorio è l’autografo che valorizza le nostre produzioni». Emiliano Baldi, amministratore delegato dell’azienda Baldi, porta sempre con se, all’interno e all’esterno dello stabilimento di via della Barchetta, l’abbraccio delle colline della Vallesina. Un legame che caratterizza fortemente il core business della sua impresa, tra i principali attori del settore food in Italia.

Fondata nel 1965 da Umberto Baldi, l’azienda conta oltre 100 collaboratori e più di 3mila clienti e opera attraverso quattro marchi: Baldi Carni, Baldi Foodservices, Baldi Mare e Baldi Bottega. L’attività principale è la produzione di carni selezionate all’origine in Italia e all’estero e destinate prevalentemente al mercato italiano, per ristoranti e per le realtà della ristorazione collettiva, servizi di consulenza annessi. «Il territorio è ciò che mettiamo nel nostro lavoro quotidiano – rimarca Emiliano Baldi -. Dobbiamo essere fieri di ciò che abbiamo e non invidiare né chiudere le porte. Perché il confronto è crescita».

Baldi, cosa significa essere, oggi, un imprenditore?
«L’imprenditore, in questo momento storico, è un eroe. Il nostro lavoro richiede un consistente sforzo mentale, relazionale ed emotivo. Siamo chiamati a sostenere i nostri territori, ci occupiamo del welfare dei nostri dipendenti. Insomma, dobbiamo interpretare tanti ruoli. Siamo anche un po’ eroi, credo, perché programmiamo per un futuro che spesso non viene adeguatamente delineato da chi dovrebbe affiancarci. Siamo artefici del nostro destino, e di quello dei nostri dipendenti, e ormai sappiamo di dover fare da soli, senza poter contare su legislatori e controllori, fra i quali comunque ci sono anche validissime persone».

La crisi è alle spalle?
«Credo che il mercato si sia riconfigurato radicalmente. Abbiamo perso tantissimi punti di Pil in Italia e non può essere certo la crescita allo “zero virgola” che ci riporterà ai “fasti” del passato. Purtroppo stiamo ancora tappando i buchi di una sovrastruttura statale non più adeguata ai tempi moderni. Questo non ci consente di disegnare ciò che verrà. I debiti contratti negli scorsi decenni non servivano infatti a produrre politiche per il futuro, bensì, salvo rare eccezioni, a supportare improduttive rendite di posizione. Tuttavia, io non credo sia tutto da buttare».

Lo stabilimento Baldi di via della Barchetta

A cosa si riferisce?
«Penso ad esempio alla sanità, che dovrà pur essere migliorata, ma che non lascia nessuno in mezzo alla strada. O alle forze di pubblica sicurezza, o al sistema della giustizia. Vi sono criticità, è vero, ma se stiamo solo a dircelo, senza far nulla, tali resteranno. Ho sempre puntato, anche qui in azienda, sulla evoluzione, sullo sforzo di applicare il cambiamento senza necessariamente buttare tutto per aria. Dobbiamo iniziare a investire sulle nostre forze, ad avere fiducia nelle nostre idee. Solo così potremo fronteggiare e sconfiggere le problematiche che ci affliggono. E relegare in un angolo chi tifa per l’implosione del Paese».

Vale a dire?
«Personalmente odio le false notizie, le bufale che girano sui media, anche blasonati, le quali poi producono movimenti di opinione che, anche a causa della debolezza del sistema politico, finiscono per incidere nella stesura delle leggi. Penso agli antivaccinisti, o a chi interpreta il veganismo esasperato come moda da scagliare contro tutto e tutti. Essendo convinto che la politica sia, generalmente, un riflesso stilizzato del popolo che rappresenta, non nascondo i timori per l’eventuale nuova classe dirigente. Insomma, servirebbe un patentino per fare politica che richieda una determinata formazione, visto il ruolo di responsabilità da ricoprire. Non è tollerabile che vi siano parlamentari che producono atti contro le scie chimiche».

Cosa si può fare per rilanciare i consumi, il mercato del lavoro, l’economia?
«Prima di tutto serve la fiducia. E questa si crea non solo riducendo la tassazione, specie quella sul lavoro, che comunque resta un problema rilevante. Servirebbe un sistema che consenta una maggiore stabilità di governo, oltre che un diverso atteggiamento dei politici, troppo spesso concentrati a coltivare il consenso immediato, che non va d’accordo con l’esigenza di assumersi qualche rischio in ottica futura. Urge inoltre una vera rigenerazione della burocrazia italiana. Non è possibile che il mezzo, ovvero la procedura, sia diventato il fine di ciascun funzionario. Si son persi di vista gli obiettivi e succede che non arrivano le nuove case ai terremotati perché prima bisogna compilare montagne di scartoffie. Infine, va ripristinata la responsabilità per qualsiasi incarico di tipo pubblico, basta con lo scaricabarile. Noi imprenditori non possiamo permettercelo e avremmo bisogno di analogo atteggiamento da parte delle istituzioni. Se abbiamo un problema in azienda individuiamo immediatamente la strada più rapida per risolverlo, all’asfalto pensiamo dopo. Questo il Paese Italia dovrebbe iniziare a fare».

Ripartendo magari dai territori..
«Assolutamente. Ma senza alimentarne le rivalità. Sono convinto che si cresca solo insieme, senza chiudere porte, accettando la competizione ed evitando nuovi “feudalesimi”. Nel nostro settore, due persone competenti fanno un prodotto migliore rispetto a quello realizzato individualmente da ciascuno dei due. Pur preservando, ovviamente, i valori di riferimento e certi che la cultura, le origini, se ben valorizzate, non avranno mai facile concorrenza».

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