Senigallia

L’associazione per la lotta all’amianto di Senigallia compie 17 anni

Presidente da sempre è Carlo Montanari: «Fin dagli anni ‘60 si sapeva che era pericoloso ma si è continuato a usarlo. A marzo 2021 ancora si devono individuare le opere da bonificare»

Lastre ondulate di amianto, una delle molteplici segnalazioni dell'associazione per la lotta all'amianto di Senigallia
Lastre ondulate di amianto, una delle molteplici segnalazioni dell'associazione per la lotta all'amianto di Senigallia

SENIGALLIA – L’associazione per la lotta all’amianto (Ala) si avvicina alla maggiore età. Domani, 15 marzo, saranno infatti ben 17 gli anni di attività sul territorio senigalliese di una realtà che ha fatto della tutela della salute pubblica e della bonifica del pericoloso materiale la sua missione.

L’associazione per la lotta all’amianto è nata da uno spunto del dott. Massimo Marcellini. Parlando con un suo paziente, Carlo Montanari, ex dipendente Sacelit-Italcementi, il medico oncologo suggerì di creare un’associazione rivolta al sociale che si interessasse del problema amianto non solo a livello di bonifica ma anche a livello di riconoscimenti pensionistici o di invalidità per quanti, malauguratamente, si sono negli anni ritrovati a contatto o esposti a questo materiale utilizzato praticamente ovunque e in ogni città del mondo. 

L’amianto (o asbesto) è una fibra molto presente in natura: è stata usata per realizzare migliaia di tipologie di prodotti, per uso industriale e civile. Oltre alla sua diffusione e al conto quindi relativamente basso per la produzione, l’amianto è stato scelto perché le fibre sono resistenti alle temperature elevate, all’azione di agenti chimici e all’azione meccanica. Un materiale praticamente eterno (da qui uno dei più famosi nomi per la sua commercializzazione).

Quando si sfalda, si rompe, o si degrada, rilascia le sue pericolose fibre che sono all’origine di diverse patologie anche molto gravi come l’asbestosi, il cancro (o carcinoma) polmonare e il mesotelioma pleurico-peritoneale, con una latenza fino a 40 anni: possono cioè manifestarsi anche 40 anni dopo l’esposizione a tale materiale.

Della sua pericolosità si hanno notizie fin dagli inizi del ‘900: solo negli anno ‘70 però si è arrivati in Italia a una vera consapevolezza sui rischi di gravi malattie che l’utilizzo dell’amianto porta con sé. Ci sono poi voluti altri venti anni per arrivare a una legge, la n.257/1992, che imponesse la cessazione dell’estrazione dell’amianto, della produzione e dell’utilizzo dei materiali che lo contengono.

Nel 2004 nasce dunque l’Ala, Associazione per la lotta all’amianto di Senigallia: fin da allora responsabile e presidente è Carlo Montanari che si batte perché vengano censite tutte le strutture realizzate o contenenti materiali in amianto; per la bonifica dei vari siti inquinati – tra cui proprio l’area portuale dove sorgeva dal 1947 la Sacelit (parte del gruppo Italcementi di Bergamo) che produceva manufatti in amianto soprattutto per l’edilizia – e per il risarcimento di malati o eredi dei deceduti legati a questa presenza.

Carlo Montanari
Carlo Montanari

«Gli industriali sapevano della pericolosità dell’amianto – spiega Montanari – ma non hanno fatto nulla per riconvertire il processo industriale. Grazie alle indagini e alle testimonianze degli operai in vita e dei loro familiari, solo negli ultimi anni si è saputo come si lavorava all’interno della Sacelit: senza protezioni, senza adeguati indumenti, senza guanti, in ambienti pieni di polvere d’amianto. Gli operai a fine turno uscivano dallo stabilimento con gli stessi abiti impolverati da amianto, andavano a casa. Le tute venivano lavate dalle mogli e dalle madri; spesso si sono ammalate anche loro senza lavorare nelle fabbriche». Nonostante la comunità scientifica dicesse che l’amianto provocava il cancro, si è continuato ad usarlo. «La Sacelit nel 1970 aveva 380 operai: era allora l’industria con maggior dipendenti» a Senigallia. «Pensare che a marzo 2021 si parli ancora di individuare le opere da bonificare, lascia spazio a molte perplessità». 

Nel frattempo grazie all’associazione per la lotta all’amianto non sono mancate centinaia di segnalazioni sulla presenza di manufatti in amianto a Senigallia, che hanno portato a sopralluoghi da parte dell’ufficio prevenzione dell’Asur e a numerose bonifiche. Un risultato utile ma assolutamente lontano dall’aver eliminato il pericolo cancerogeno sulla spiaggia di velluto. «Il dato nazionale è che ci sono ancora 650 chili di amianto per cittadino: l’Italia è stata sino al 1992 il secondo produttore europeo. Si stima che in Italia, per rimuovere ogni traccia di amianto, ci vorranno circa 1000 anni e forse ancora non si è davvero partiti per fare le cose sul serio», conclude Carlo Montanari.

Ti potrebbero interessare