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Sanità, Aldo Salvi in pensione: «Vorrei contribuire a far sì che l’emergenza sia più efficace e efficiente»

Il primario ha affidato il suo commiato ad una lettera nella quale esprime il desiderio di poter continuare a dare un contributo al sistema di emergenza - urgenza dell'ospedale regionale del quale è stato colonna portante. Al suo posto la dottotressa Cinzia Nitti

Aldo Salvi

ANCONA – Aldo Salvi, colonna portate della Medicina Interna, d’Urgenza e Subintensiva dell’ospedale regionale di Torrette in pensione dal primo gennaio per raggiunti limiti di età. Al suo posto la dottoressa Cinzia Nitti che dal 1 dicembre del 2005 è entrata agli Ospedali Riuniti di Ancona, oggi Azienda Ospedaliera delle Marche e titolare della struttura organizzativa semplice (Sos) ”Medicina d’urgenza” dal 1 febbraio del 2021.

«Il pensionamento del dottor Salvi – dichiara il direttore generale ad Interim dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche, Antonello Matraldo – rappresenta un punto di svolta nella storia dell’Azienda Ospedaliera essendo stato lo stesso uno dei punti di riferimento dell’Azienda da sempre. Al professionista esemplare si affianca l’umanità di un medico sempre disponibile con tutti senza vincoli . Di lui ho nitido il ricordo in periodo Covid in cui grazie alla sua maestria e a quella degli altri validi professionisti, l’Ospedale regionale ha salvato decine di vite».

Il primario ha affidato il suo commiato ad una lettera nella quale ripercorre le tappe salienti della sua carriera, lunga 40 anni e le novità introdotte nel sistema di emergenza – urgenza. «Il 1° Gennaio mi sono svegliato eccezionalmente alle 8, è il primo anno dopo più di 40 che non mi alzo alle sei e non passo il Capodanno in ospedale accanto ai collaboratori e ai miei assistiti» dice nell’attacco della sua missiva nella quale ricorda quando «da poco laureato con il massimo dei voti, decisi di lavorare al Pronto Soccorso già allora vituperato e poco ambito dai giovani professionisti. Ho avuto la fortuna di incontrare colleghi più anziani pronti a svelarmi i piccoli segreti e le usuali manualità indispensabili al pronto soccorso ma con le quali io, giovane accademico, avevo poca dimestichezza. Ma soprattutto colleghi disposti ad accettare le mie “corbellerie”: mi affannavo perché le anamnesi fossero più accurate così come la valutazione clinica in onore allo slogan “nulla è fatto se non scritto”».

Salvi ripercorrendo la sua carriera parallelamente fornisce anche uno spaccato dell’evoluzione della sanità ospedaliera ricordando che «nella visita entrarono, oltre al tradizionale fonendoscopio, martelletto per l’esame neurologico, otoscopio, oftalmoscopio; l’elettrocardiogramma divenne la regola nell’assistito internistico, furono elaborati protocolli per uniformare i comportamenti e il ricorso agli specialisti si riduceva. Pensando a quegli anni mi tornano in mente gli “anziani” di allora Ferdinando Corvaro il cerbero buono che si occupava dei turni di servizio, Flaviano Rabini sempre pronto ad intercettare i pazienti complessi per proteggere noi giovani, Giuseppe Romagnuolo con il suo sogno dell’eliambulanza e del soccorso sul territorio e infine, ma non ultimo Marcello Orlandini, il direttore, che assecondava tutte le mie “stramberie innovative”. Tutti ci hanno lasciato ma porto con me per ognuno grande gratitudine e riconoscenza: se sono riuscito a realizzare qualcosa di utile per la nostra comunità lo devo a loro e ai miei due maestri Giovanni Danieli e il compianto Carlo De Martinis: con loro ho condiviso dubbi, successi e insuccessi, ma soprattutto ho avuto da loro l’incoraggiamento per andare avanti nei momenti difficili».

«La fase successiva – ricorda – fu di diffondere questa cultura nelle Marche e costituimmo un gruppo di lavoro guidato dalla Sofia Di Tizio, realizzammo il famoso “libro giallo” e in modo del tutto volontario nel tempo libero a girare per i vari ospedali della regione a fare incontri formativi. Intanto gli accessi ai pronto soccorso aumentavano nella nostra realtà come in tutta Italia e si raddoppiavano ogni anno, non era più possibile dare risposte in tempo reale e non era certamente etico seguire l’ordine di arrivo per la valutazione medica. Nei paesi Anglosassoni questo problema era stato risolto con i famosi codici colore di triage (rosso, giallo, verde, bianco) dove il rosso individuava il paziente in pericolo di vita e il bianco il paziente con problema banale. Ma non era così semplice assegnare un codice: bisognava addestrare anzitutto noi stessi a questa nuova modalità, ma soprattutto gli infermieri che erano al front-office. Con la Dr.ssa Tamira Gentili e con altri volenterosi del nord creammo un groppo ancora oggi attivo nel settore, per la formazione infermieristica in questo campo. Realizzammo così il famoso triage di pronto soccorso, inizialmente molto artigianale poi sempre più strutturato e “affidabile”».

Salvi spiega che «contemporaneamente anche l’astanteria (cioè i letti annessi al pronto soccorso) si trasformava assumendo sempre più le caratteristiche di un’ area subintensiva dove venivano assistiti e stabilizzati i pazienti critici. Questa funzione ha subito un impulso importante nel ruolo e nella dimensione da quando nel 1994 ho assunto la direzione dell’unità operativa e soprattutto da quando ci siamo potuti trasferire nella attuale sede, 2° Piano Corpo S dell’ospedale di Torrette. Questa area ha attualmente assunto le caratteristiche di un’area assistenziale che realmente si colloca tra i reparto ordinari e le rianimazioni, con le caratteristiche organizzative ed operative delle Intermediate Care Unit (ImCU) della letteratura anglosassone ed ha mostrato tutte le potenzialità assistenziali e versatilità operativa nei momenti più difficili della recente pandemia grazie ai collaboratori medici ed infermieri addestrati ma soprattutto disposti a rinunciare ai propri diritti pur di dare assistenza la migliore possibile: a loro va tutta la mia gratitudine anche per avermi assecondato nelle scelte che talvolta potevano sembrare azzardate e che comunque significavano sempre maggior lavoro».

«Non c’è giorno che la stampa – osserva – non parli di affollamento ed attesa in Pronto Soccorso: il settore dell’emergenza-urgenza soffre oggi sicuramente per l’eccesso di richiesta, ma non meno, e forse ancora di più, per la difficoltà a collocare gli assistiti una volta stabilizzati e comunque trattati per quanto di propria competenza. È sicuramente necessario migliorare e aumentare le risposte ai bisogni assistenziali sul territorio, ma non da meno è necessario ripensare la risposta che l’ospedale riesce a dare all’area dell’emergenza. L’area emergenza per la comunità e per l’ospedale che ha alle spalle è una incredibile opportunità,  garanzia della sicurezza di chi è veramente malato e in quest’ottica va salvaguardata e sostenuta. Quello che più mi dispiace e, devo dire, talvolta mi angoscia in questa fase della vita è di non poter più scendere in trincea con i miei collaboratori e affrontare le difficoltà fianco a fianco come tante volte in passato; mi conforta tuttavia il sapere che lascio il Pronto Soccorso, ormai da due anni diretto dalla dottoressa Susanna Contucci, e la Medicina Interna d’Urgenza e Subintensiva da oggi diretta dalla Cinzia Nitti, in mano a professioniste competenti, eque nelle scelte e che non esitano a farsi carico dei problemi quando necessario. Il mio desiderio? Avere opportunità e capacità – conclude – di contribuire a far si che l’emergenza sia più efficace ed efficiente per il cittadino e più “vivibile” per quanti ci lavorano».

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