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“Abbiamo rovinato l’Italia?”

È il titolo del saggio di Marco Bentivogli, segretario generale Fim-Cisl, oggi pomeriggio a Jesi. Al suo fianco l'imprenditore Sandro Paradisi. Un convegno utile a riflettere sul futuro della manifattura italiana

Un comizio a palazzo dei Convegni

JESI – «Il sindacato dovrebbe tornare alle origini, promuovendo giustizia sociale e spiegandone l’importanza ai più giovani. Dovremmo essere meno autoreferenziali e cercare di anticipare il cambiamento». Ad affermarlo è Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl, invitato a palazzo dei Convegni dall’associazione Popolari per Jesi ad affrontare le interessanti tematiche trattate nel suo saggio. Provocatorio il titolo: “Abbiamo rovinato l’Italia?”. Sala di Corso Matteotti gremita per assistere alla proficua tavola rotonda, a cui ha partecipato anche l’imprenditore jesino, Sandro Paradisi.

«Il cambiamento è velocissimo attorno a noi, non possiamo certo pensare di fermarlo. Ma dobbiamo provare ad anticiparlo – ha detto Bentivogli -. Le Marche sono, purtroppo, un esempio degli errori commessi, anche dal sindacato. In Italia è la poca tecnologia che ha distrutto l’occupazione, è sufficiente concentrarsi su quanto accaduto nel comparto degli elettrodomestici per comprenderlo. Resto del parere che se c’è una macchina al posto di una persona a saldare e respirare polveri non è una sconfitta, al contrario. Che facciamo, dunque? – ha proseguito l’esponente della Cisl -, togliamo i bancomat per avere più cassieri? Se proviamo a salvare l’occupazione fermando il progresso saremo spazzati via.  Abbiamo ancora un ruolo straordinario da giocare, ma solo se ci occuperemo del lavoro che cambia. Se restiamo ancorati alle vecchie formule di antagonismo fra sindacati e azienda non faremo tanta strada. Bisogna riuscire a spiegare che sono le persone a fare la differenza. La formazione è l’antidoto più forte alla delocalizzazione e al precariato».

Sulla stessa lunghezza d’onda, Paradisi: «Considero il mio lavoro il più bello del mondo, è la passione che quotidianamente mi guida – ha osservato l’imprenditore jesino, raccontando di come ha rivoluzionato completamente la produzione della sua azienda a seguito del tracollo del distretto fabrianese -. Se ancora stiamo a lamentarci della crisi, che c’è dal 2009, significa che non sappiamo fare il nostro lavoro. Noi abbiamo puntato sul taglio agli sprechi e sulla formazione. Senza correre dietro al contributo facile perché ci avrebbe fatto perdere di vista il resto, vale a dire la produttività e lo sviluppo. Le macchine, del resto, funzionano se ci son dietro le persone che sanno gestirne i processi. Le sfide che ci attendono necessitano di un confronto costante fra industriali e sindacalisti. Se non riusciamo a guardare avanti, a pensare a cosa faremo nel 2025, ma ci occupiamo solo del quotidiano,  non avremo futuro».

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