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Il comandante Simeone, Nucleo Sub Guardia Costiera San Benedetto: «Salvare vite umane in mare è la nostra missione»

Nel suo bagaglio ricco di esperienze ha importanti missioni in tutta Italia per salvare naufraghi, cercare persone disperse, liberare la fauna marina in pericolo, rimasta intrappolata ad esempio nelle reti fantasma

Il Capitano di Corvetta Giuseppe Simeone, Comandante Primo Nucleo Operatori Subacquei della Guardia Costiera di San Benedetto del Tronto

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Salvare vite umane in mare. È questo il compito principale del Nucleo Operatori Subacquei della Guardia Costiera, in prima linea anche nella tutela dell’ambiente marino e in particolare nella lotta alle reti fantasma che potrebbero imprigionare, senza lasciare scampo, pesci, tartarughe e cetacei. Il Capitano di Corvetta Giuseppe Simeone, Comandante Primo Nucleo Operatori Subacquei della Guardia Costiera di San Benedetto del Tronto, ha nel suo bagaglio ricco di esperienze importanti missioni in tutta Italia per salvare naufraghi, cercare persone disperse, liberare la fauna marina in pericolo.

Comandante Simeone, partiamo dall’alluvione che ha colpito le Marche lo scorso 15 settembre. Sono necessarie delle verifiche per valutare l’impatto ambientale dell’enorme quantità di fango arrivata in mare? Il Nucleo Subacqueo interverrà?
«L’impatto ambientale di questi sversamenti di fango in mare deve essere valutato, saranno quindi necessarie delle verifiche anche con l’ausilio di mezzi aerei e navali. Il Nucleo Subacqueo potrebbe essere chiamato a cercare in mare la donna ancora dispersa (Brunella Chiù, ndr) e a rimuovere eventuali auto trascinate dai fiumi e affondate. Nelle ore immediatamente successive all’alluvione, il Comando Generale mi ha chiesto di approntare una squadra di pronto intervento in quanto il Nucleo Sub è addestrato a fronteggiare situazioni di emergenza anche alluvionale. Alla fine non è stata disposta alcuna operazione, però altre volte nelle Marche siamo intervenuti a dare man forte».

Giuseppe Simeone

Qual è l’esperienza più significativa fatta finora nella sua carriera?
«Salvare le persone in mare è stata ed è l’esperienza più gratificante. Non importa la nazionalità, la religione, il colore della pelle, se sono persone in vacanza o costrette a scappare per avere una vita migliore. Quando sono in acqua sono disperate, ci tendono la mano… Siamo noi la loro ultima speranza. O noi, o la morte. Questo è emotivamente impattante. Quando ci sono 90 persone in mare bisogna scegliere a chi dare la precedenza, alcuni potrebbero resistere più a lungo, altri potrebbero non farcela. Facciamo il massimo, diamo il tutto per tutto e cerchiamo di riportare a casa più persone possibile. Salvare migliaia di vite umane in tutto il Mediterraneo è l’esperienza che mi ha toccato di più e ripaga degli sforzi fatti».

Il suo lavoro consiste anche nella ricerca di persone disperse che purtroppo però spesso vengono ritrovate senza vita…
«Anche se senza vita, considero molto importante ritrovare una persona dispersa in mare perché senza un corpo i familiari non avranno mai pace. Per me significa riportare comunque la persona a casa… Noi facciamo di tutto pur di ritrovarla viva, lo sforzo è massimo, non molliamo mai».

Il Comandante del Nucelo Sub della Guardai Costiera di San Benedetto durante un’immersione

Plastiche e reti da pesca in mare sono tra i pericoli più gravi per la flora e la fauna marina. Che cosa comporta il loro abbandono?
«I fenomeni di inquinamento in mare sono diffusi, soprattutto in passato si è stati poco attenti. Anche se si butta una cosa biodegradabile c’è un minimo di inquinamento, figuriamoci la plastica che ha una vita eterna. La rete è un attrezzo da pesca che se abbandonato diventa nocivo. Continua a catturare flora e fauna provocando morte e nessuno la va a rimuovere. È un rifiuto speciale che non si discioglie mai e arreca danni permanenti all’ambiente. A volte non ci si pensa ma il danno ambientale si riversa sull’uomo: pezzi di plastiche o reti si distaccano e vengono mangiati dai pesci, gli stessi pesci che poi finiscono sulle nostre tavole».

In tal senso è molto importante la campagna nazionale di bonifica dalle reti fantasma lanciata dalla Guardia Costiera nel 2019. Come interviene il Nucleo sub?
«Quando ci viene segnalata sott’acqua la presenza di una rete fantasma, o di un oggetto inquinante, prima di toccarla valutiamo scientificamente con l’ausilio di biologici se è il caso di rimuoverla o meno. Questo perché sopra potrebbe essere cresciuta nuova vita e spostarla significherebbe distruggere quello che la natura ha ricreato. È importante che tutti collaborino riferendo eventuali ritrovamenti. Inoltre, se si recuperano ad esempio delle reti non devono essere lasciate in banchina. Il rifiuto deve essere smaltito correttamente in apposite aree di conferimento. Dal 2019 nel Mar Mediterraneo, parte italiana, sono stati rinvenuti 37 tonnellate di rifiuti plastici».

Cosa fa la Guardia Costiera per sensibilizzare la tutela dell’ambiente marino?
«Per liberare il mare occorre prevenzione, educazione e informazione. È importante sensibilizzare i bambini perché saranno loro ad essere da esempio per i genitori conferendo correttamente i rifiuti. Abbiamo fatto incontri nelle scuole elementari e abbiamo coinvolto i bambini nella raccolta della plastica in spiaggia».

Nel corso delle sue operazioni le è capitato di liberare animali rimasti intrappolati nella plastica o nelle reti?
«Certamente. Nelle acque siciliane, che sono aperte, una volta mi è capitato di vedere un campidoglio. Un peschereccio ci aveva allertato perché il grande cetaceo aveva una rete impigliata sulla coda. Mentre ci dirigevamo verso le Eolie per cercarlo c’era un gruppo di delfini. Mi piace pensare che ci abbiano accompagnato. Quando lo abbiamo trovato, il campidoglio si è inabissato. Altri operatori subacquei sono invece stati protagonisti di epiche liberazioni di campidogli dalle reti fantasma. Tra gli incontri più belli che ho fatto c’è quello con una tartaruga nei pressi di Acitrezza, vicino all’area marina protetta. Quando l’abbiamo liberata dalla rete, la tartaruga sembrava morta invece all’improvviso ha aperto gli occhi, ha nuotato in avanti poi si è girata, ci ha guardato come per ringraziarci poi è andata via. Lavorare per questi obiettivi restituisce un senso di orgoglio e appartenenza al pianeta. Alla fine di una giornata così si è stanchi ma motivati. Quando lavoriamo per l’ambiente, per salvare una persona o per cercarla so che posso chiedere sempre il massimo ai miei uomini. Questo mi dà grande motivazione».

Giuseppe Simeone

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