Ancona-Osimo

La violenza di genere vista dagli occhi degli aggressori: il progetto Voce guida gli uomini nella presa di coscienza 

Un percorso di consapevolezza per la cura della violenza di genere. Ad Ancona il progetto Voce ha aiutato più di 100 uomini in sette anni. Ne parliamo con la psicologa e criminologa Antonella Ciccarelli

ANCONA – Uomini autori di violenze: il progetto V.o.c.e. acronimo di violenza, offesa, cura, emancipazione è sempre più attivo nel territorio. Se ne è parlato recentemente in un webinar promosso dall’associazione Reti culturali Odv con il sostegno del Centro servizi volontariato Marche e il patrocinio del Forum delle Donne di Ancona. La referente del progetto voce è la sociologa, psicologa e criminologa Antonella Ciccarelli, coordinatrice del progetto Punto Voce ovvero un centro per uomini maltrattanti gestito dalla cooperativa sociale Polo9.

Dottoressa, partiamo dall’inizio: quando è partito il progetto Voce?
«Siamo partiti nel 2015 dopo aver svolto un periodo di formazione a un’equipe tutta al maschile per ovvi motivi: per agevolare un confronto con un pensiero di genere. L’unica professionista donna presente nel progetto Voce sono io che, in veste di coordinatrice, lavoro in co-conduzione maschio-femmina». 

Come entrano in contatto con voi gli uomini autori di violenza?
«Veniamo contattati direttamente da queste persone su indicazione dei servizi, dei giudici o degli avvocati. Ci chiamano e c’è subito una prima fase di colloqui valutativi. Durante questi colloqui, dai 2 ai 4, prendiamo informazioni sul caso e stabiliamo una collaborazione. Se la persona viene ritenuta idonea per il lavoro di gruppo, viene inserita nel percorso di 16 incontri. Alla fine dei quali c’è un colloquio di restituzione e il rilascio del certificato di partecipazione».

Quindi non è un percorso di cura, giusto?
«No, assolutamente. Il percorso, più che di recupero, è di consapevolezza. Va a trattare l’aumento della consapevolezza rispetto agli agiti e si articola lungo 16 incontri a cadenza quindicinale. Non può essere considerato un percorso terapeutico che durante questi incontri esaudisce la sua fuznione».

Quanti casi avete trattato dall’inizio del progetto?
«Abbiamo incontrato ad oggi più di 200 uomini, con una presa in carica di oltre 100 casi. Il drop out, ovvero l’abbandono del percorso, solitamente è molto basso, proprio perché devono testimoniare di averlo svolto per ricevere la certificazione. In linea di massima queste persone reggono perché devono dimostrare un risultato». 

Vi è mai capitato di incorrere in casi recidivi?
«Sì, ma quelli di cui siamo venuti a conoscenza riguardano persone che ci sono state inviate di nuovo dai giudici. Ad esempio ci sono capitati un paio di casi di uomini ricaduti in una condotta violenta: uno nei confronti della stessa compagna, un altro verso una compagna diversa. E queste due variabili sono da tenere bene in considerazione».

Perché?
«Accade spesso che quando una donna venga messa in protezione con i figli minori in una casa rifugio, e il marito inserito in un percorso come il nostro, i due possano dare una valutazione quasi terapeutica della lontananza. E che quindi pensino di aver risolto il loro problema e allora basti tornare insieme per risolvere tutto. In realtà la distanza ha permesso loro di non farsi male, ma non basta questo senza una lettura profonda di quello che si innesca nella coppia. Dunque una volta tornati insieme c’è il rischio di tornare nelle dinamiche precedenti».

E l’altro aspetto?
«Riguarda il fatto che la violenza non cessa con la separazione dalla donna con cui si sono verificati certi comportamenti. Se l’uomo non fa una lettura dei suoi comportamenti e della sua rabbia, la violenza finisce nei confronti di una donna e inizia con un’altra». 

Altro capitolo importante riguarda i bambini vittime dirette o indirette della violenza del padre verso la madre. È possibile limitare i danni nei figli?
«I bambini che sono vittime di violenza assistita, anche quando non subiscono direttamente ma ne sono testimoni, possono manifestare un disagio anche in un mid-term e un long-term. Alcuni bambini, ad esempio, sviluppano una maturazione precoce. Altri, invece, manifestano gli effetti in altre forme. Su questo, più l’intervento è tempestivo più possiamo aiutare un padre a capire, a proteggere una madre e a non cristallizzare le difficoltà nell’età evolutiva dei bambini». 

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