Ancona-Osimo

Vedova e senza figli, il sindacato: «Non ha i requisiti per il ricovero, deve pagare 3mila euro al mese»

La donna, 79 anni, senza figli e con un'anca fratturata, non può più stare nella Rsa. La denuncia del sindacato dei pensionati: «Questa è la sanità che si sta privatizzando e sta degenerando»

PESARO – Vedova, 79 anni, senza figli, una casa al terzo piano e un’anca fratturata. Eppure non può stare nella Rsa.

È questa la denuncia dello Spi Cgil, il sindacato dei pensionati.

«Il quadro non è confortante. Soprattutto dopo che l’Ast 1 ha deciso che Franca Pagnanelli, maceratese d’origine, non può più stare – ovvero non ha i requisiti – all’Rsa di Villa Fastiggi. Parliamo del Maria Cecilia Hospital di Pesaro, che prima era l’Rsa Cives gestito dal consorzio Labirinto ed ora è passato al gruppo Gvm di Ettore Sansavini. Non può più starci, beninteso, in regime di convenzionamento, mentre nulla vieta che si paghi il ricovero da sola, in regime privato (più o meno 95 euro al giorno per un totale mensile di circa 3mila euro)». E la paziente si è rivolta a un avvocato.

Per il sindacato «questa notizia rappresenta la violazione di quei principi fondamentali che attengono al buon governo dei bisogni socio-sanitari territoriali da garantire a persone ultrasessantacinquenni in condizioni di non autosufficienza. Ci riferiamo in particolare alla situazione delle Cure intermedie e delle Residenze sanitarie assistenziali. Problemi sui quali alcuni mesi fa era intervenuto direttamente l’assessore Saltamartini “era il caso di una persona ricoverata in un reparto di cure intermedie, presso il quale si è poi contagiata, rimanendo ricoverata oltre i 60 giorni e vedendosi poi addebitata la quota. Così poniamo nel caso di Franca nuovamente la questione, che riguarda l’addebito automatico della quota sociale non dopo i 60 giorni bensì in questo caso, dopo i 20, indipendentemente dalle condizioni di salute della persona e dal fatto che a seguito di valutazione la struttura abbia richiesto all’AST una proroga di ulteriori 30 giorni».

Lo Spi precisa: «Non siamo certamente in grado noi di valutare le condizioni di salute di Franca, siamo in grado però di cogliere la necessità di sostenerla nella richiesta di aver garantite quelle cure intermedie che le permettano di poter accedere autonomamente alla propria abitazione. In uscita dal covid eravamo certi che il potenziamento della medicina territoriale rappresentasse la risposta urgente e necessaria per affrontare possibili future emergenze, il caso di Franca non è un’emergenza, è la plastica evidenza di un sistema che si sta via via degenerando e privatizzando».

Il sindacato chiude: «Vale la pena ricordarlo, in queste strutture la gran parte dei ricoveri provengono dall’ospedale (dimissione protetta). Si tratta per lo più della cosiddetta fase di “post acuzie”. Una fase molto delicata in persone anziane. Non sempre il tempo amministrativo coincide con quello terapeutico (qualche volta in eccesso più spesso in difetto) e le Unità valutative, costituite da professionisti, sono state pensate proprio in funzione della valutazione del bisogno e della conseguente appropriatezza dei percorsi. Abbiamo chiesto che venissero programmati una serie di incontri con la direzione dell’AST al fine di evidenziare le problematicità e le situazioni di forte criticità al fine di ipotizzare soluzioni che dovrebbero andare nella direzione di adottare modelli che abbiano come fondamento la risposta concreta ai bisogni delle persone. Combattere e contrastare la solitudine, anzi prevenirle, è allo stato attuale prioritario viste le politiche regionali e il sistema socio sanitario approvato nella nostra regione.

È nostro compito dare sostanza a quelli che sono i diritti degli anziani, ma in generale di ogni essere umano, il diritto al rispetto e alla dignità, il diritto ad essere informati e a scegliere la propria assistenza, il diritto ad una vita di relazione».

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