Ancona-Osimo

“Sarai belo te”, ecco il calendario di Ancona. L’ideatore Traferri: «A Roma chiesi una polacca. Mi guardarono male, ma volevo una brioche»

Marco Traferri, ideatore di "Sarai belo te", spiega: «Un modo per scherzare sul nostro dialetto». Contiene anche riflessioni sul vivere anconetano, con ricette tipiche della città

ANCONA – “Sarai belo te”, si chiama così il calendario 2022 firmato dall’anconetano Marco Traferri, che riprende una delle ricorrenti frasi del dialetto dorico. Suoi sono anche il libro, il blog e la pagina Facebook Sarai belo te. «Si tratta di un modo per indagare sull’ironia (e sui modi di dire) dell’anconetano».

L’anconetano Marco Traferri

«All’epoca dell’esplosione di Internet – ricorda – creai il mio primo blog Sarai belo te, in cui portai il nostro dialetto. Poi – spiega Traferri – è arrivata una pagina social, su Facebook, per giocare sull’ironia di certe nostre espressioni che usiamo comunemente senza neppure renderci conto del patrimonio che costituiscono. Il dialetto è infatti radici, tradizione, cultura e ironia».

“Sarai belo te” è il suo primo calendario. Traferri, per inciso, è colui che ha inventato le mascherine anconetane con la stampa sta ntel tuo (tradotto: stai nel tuo, mantieni la distanza), fa sapere che il calendario 2022 è acquistabile nelle librerie Mondadori di corso Mazzini e del Grotte Center, oltreché da Fullcolor Design, zona industriale di Camerano.

Il luogo più bello di Ancona? «Non saprei – dice – la nostra città è tutta bella. Ma se dovessi sceglierne uno, direi le vie del centro storico, che mi sorprendono ancora, dopo 55 anni».

Il calendario è disponibile sia in forma cartaceo sia magnetica, da attaccare sul frigorifero della propria abitazione. «Nel cartaceo, oltre alle frasi più ricorrenti, anche mie riflessioni sul vivere anconetano, con ricette tipiche della nostra città». Coinvolti nell’iniziativa, storici ristoranti di Ancona, come Miscia, Il Pincio, Da Marcello, Pesci fuor d’acqua, Pizzeria desiderio e La moretta.

 «Ciaffo e scasamento – rispettivamente cianfrusaglia e trasloco – sono parole che usiamo da sempre. Ma se usciamo dalla nostra città e le pronunciamo, fatichiamo a capirci», evidenzia Traferri. Che prosegue: «Quando ero giovane, nel 1988, ero a Roma per il servizio militare. Ricordo ancora quel giorno: avevo 20 anni ed entrai in un bar di via Veneto. Avevo voglia di una brioche e chiesi una polacca, convinto che il barista mi capisse. Invece, da dietro il bancone strabuzzarono gli occhi».

Sheila Scaramucci, del Ristorante Pizzeria Il Pincio

Come quando diciamo la finlandese e intendiamo la tuta da ginnastica. E vogliamo parlare del solustro? «Solo a 40 anni ho scoperto che il solustro -quel sole velato che ti infastidisce quando esci di casa senza occhiali – non esiste». Ma sono tante le parole idiomatiche su cui riflettere. Vedi – ad esempio – la lónga del Pinocchio per indicare la salita di via Maggini, o la discesa del gas per identificare via Pergolesi.

Farestìmo per dire faremmo, voce del verbo fare. C’è però da dire che il nostro dialetto ha da sempre subìto contaminazioni che introducono delle varianti addirittura di quartiere in quartiere. Ecco perché negli anni – nota Traferri – ho imparato che ognuno ha la sua versione su come si declinano i termini».

La frase preferita del calendario? «I guadagni dej ovi: qui c’è tutta l’ironia anconetana nello sdrammatizzare un evento che non è stato economicamente fortunato». 

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