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Sanitari non vaccinati, per Clementi «cattivo esempio, non “untori”». Il punto sulla terza dose

Il direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell'Ospedale San Raffaele di Milano si dice favorevole alla terza dose per il personale sanitario: meglio aspettare per il resto della popolazione

Il virologo Massimo Clementi

ANCONA – «I sanitari non vaccinati esprimono un concetto sbagliato dal punto di vista medico e un cattivo esempio. Non si possono giustificare, ma neanche additare come “untori”». A dirlo è il professor Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Con le sospensioni di medici e infermieri non vaccinati, che ormai si susseguono in tutto il Paese, il virologo, evidenzia che mentre «la società si è impegnata per vincere la battaglia contro il virus, i sanitari non vaccinati sono andati contro quanto prescrive la deontologia professionale».

Insomma «una brutta pagina», che spicca in un quadro complessivo nel quale i vaccini, secondo il virologo, stanno manifestando la loro efficacia. «In Italia – osserva – i vaccini stanno risolvendo un enorme problema e stanno riuscendo a tenere sotto controllo la pandemia, che invece in altre paesi ha dato origine ad una ulteriore ondata del virus».

Per la stessa ragione il professor Clementi si dice favorevole alla terza dose ai sanitari, ma puntualizza per i medici e gli infermieri che stanno riscontrando dai test un basso titolo anticorpale, perché tra i primi vaccinati, che questo «non significa che l’immunità è assente, perché potrebbe essere cellulo-mediata».

Sulla dose aggiuntiva per il resto della popolazione afferma che «bisogna vedere l’andamento della pandemia, per decidere se è utile estendere la terza dose anche agli over 60». Insomma è meglio aspettare perché se «la diffusione del virus si riduce progressivamente, la dose aggiuntiva potrebbe non essere necessaria».

«La pandemia sta registrando un decremento» spiega e «9 ricoverati su 10 negli ospedali non sono stati vaccinati, questo non fa che confermare la bontà della vaccinazione». Intanto l’attenzione è puntata anche ai farmaci. Secondo il virologo per uscire dalla pandemia non si può prescindere dalla prevenzione, rappresentata dal vaccino, ma anche le terapie sono «armi importanti, anche  in caso di episodi futuri».

«Nel primi venti anni di questo secolo ci sono state tre epidemie – spiega – per cui non si possono escludere nuovi casi in futuro, per questo occorre essere pronti». Due le categorie di farmaci: gli antivirali, da somministrare nei primi 3-5 giorni, ed i monoclonali, al fianco dei quali ci sono gli antinfiammatori utilizzati anche per altre patologie come l’artrite reumatoide, che «sono stati utilmente utilizzati, ma i farmaci non sostituiscono il vaccino».

Tra le novità, la pillola di Merck, che avrebbe dimostrato di dimezzare le ospedalizzazioni. Sulla necessità di aggiornare gli attuali vaccini alle nuove varianti, il virologo rassicura: «In Israele si è visto che i vaccini di prima generazione combattono bene le infezioni, anche contro le varianti in circolazione. Vaccini che stanno mostrando la loro efficacia anche sui bambini di età inferiore ai 12 anni a dose dimezzata».

Il primario spiega che è in corso un aggiornamento dei vaccini contro il Covid, e che la comunità scientifica sta pensando di combinarlo con quello antinfluenzale, tuttavia non si dice favorevole a questa ipotesi: «Preferirei restassero separati».

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